Che cosa può significare Alban Berg, oggi, Sinopoli?
Rappresenta, in qualche modo, una via alternativa tra Mahler da una parte e dall’altra le nuove spinte, le nuove scuole della musica contemporanea che, dopo Darmstadt hanno preso a modello più Schoenberg e Webern che Berg. Se si voleva qualcosa non dico di più “espressivo” (l’espressione era tabù), ma di più vitale, allora si sceglieva Schoenbergerg. L’unica partitura che poteva avere qualche riferimento con Berg era Punkte di Stockausen, e non a caso. L’alternativa consiste in alcuni cammini che sono stati trascurati; si è idolatrato il materiale, l’oggettività della struttura; Berg propone invece, ancora, una fiducia totale nella capacità di esprimersi del soggetto. Esprimersi, in Berg, è una necessità. E oggi, questa necessità, la sentiamo di nuovo.
Ma, storicamente, che cosa è stato Berg?
Prendiamo i Tre pezzi per orchestra. Sembrano sospesi tra due momenti: uno, che è quello dello Jugendstil, e l’altro che è l’espressionismo. Il risultato è espressionista, ma il modo di operare è Jugendstil, Secessione. Polke, gavotte, valzer, sono frammenti, residui della società, della cultura, e vengono messi dentro a una specie di vortice, insieme a marce, marcette, militari e funebri, quasi un apparato fantasma dell’epidermide sociale absburgica, come oggetti, senza più valore.
Il vortice è la sfiducia totale in un mondo di valori definitivo: c’è la fiducia di potersi ancora esprimere, ma per constatare la scomparsa di tutti i valori. In Mahler sentiamo ancora la nostalgia per i valori perduti. Berg li dichiara scomparsi, ma senza nostalgia. Ciò che rimane è solo la volontà di esprimersi: una volontà che si fa urgenza, anche disperazione, ma non rinuncia mai all’espressione. Ecco perché questi piccoli valori che sono le musiche di consumo vengono aggrediti, disgregati, immessi nel vortice. Sono spazzatura, residui.
Nella scomparsa dei valori, dunque, la musica, l’arte, resta valore?
La musica resta valore, ma come rappresentazione di una perdita di valori. In Mahler questa rappresentazione non c’è: c’è la nostalgia, la sofferenza della perdita, Mahler vive la perdita. Berg la rappresenta, senza rimpianti, senza viverla più. Il gesto, quindi, è violentissimo, livido. Sotto questo aspetto, nell’uso di certi materiali, il punto di partenza è simile a quello di Stravisky.
La sfiducia, però, non sembra toccare i sistemi compositivi, che in Berg sono quasi ostentati.
In Berg c’è un bisogno quasi ingenuo di dipendenza. La devozione, al maestro, a Schoenberg, nasce da questo bisogno. I sistemi sono prigioni, limiti che circoscrivono questa dipendenza. Ha bisogno di qualcosa di esterno, di costrittivo, di certo, che chiuda, che definisca.
Un direttore, che è anche compositore, che cosa prova a dirigere Berg?
Entra in crisi. La dipendenza da un sistema sarebbe oggi salvezza, non dipendenza. Ma non è più possibile. In Berg c’è una profonda moralità. Il padre aveva un negozio di santini, di oggetti sacri. E in Berg c’è un pudore estremo per certe cose, per esempio nel linguaggio. Nel Wozzeck cambia il verbo originale di Buchner, “pisciare” in “tossire”. Poco importa che poi la risposta di Wozzeck non abbia più senso. Anche il finale è diverso, più “nobile”. È questa moralità che gli fa cercare la dipendenza. Il laido si può rappresentare solo nella prigione delle regole. Ma già la scelta dei temi da aggredire ubbidisce a questa moralità, alla prigione di questa moralità.
QUEL PROFETA DELL’ATTESA CHE SI CHIAMO’ ALBAN BERG.
Sinopoli: “ciò che è attuale in lui è la forte volontà di esprimersi”.
Di Dino Villatico