Wagner: Ouverturen & Orchestermusik

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Wagner

Ouvertüren & Orchestermusik

1h 12′ 32″

Rienzi: Ouvertüre
11′ 51″

Das Liebesverbot: Ouvertüre
8′ 52″

Tannhäuser: Ouvertüre
14′ 02″

Tannhaüser: Bacchanale
12′ 38″

Parsifal: Preludio all’Atto I
13′ 39″

Parsifal: L’incantesimo del Venerdì Santo
11′ 30″

Staatskapelle Dresden
Giuseppe Sinopoli, direttore

Registrazione: Lukaskirche, Dresden – maggio 1995 – studio

1° Edizione in CD DEUTSCHE GRAMMOPHON – 449 165-2 – (1 cd) – durata 72′ 32″ – (p) 1996 – Digitale 4D DDD

Parsifal, poi… tutto Wagner

[…]

Maestro Sinopoli, c’è chi ha parlato di Parsifal sperimentale, quasi laboratoriale per la scelta della forma da concerto?

Diciamo che io non l’ho pensata come una versione alternativa alla messa in scena, bensì come un procedimento utile che ho voluto legare alla tecnica del leitmotiv wagneriano: l’intento era quello di concentrare l’ascolto di chi riceve, per consentirgli di analizzare le interrelazioni fra i leitmotiv. In questo caso, essi funzionano come veri e propri relais tra i vari livelli di coscienza, ed è questo – assai più del semplice aspetto variazionistico – che mi interessava. […]

Questo, con la messa in scena, non è possibile?

Nella messa in scena la comunicazione fra i leitmotiv è definita dal regista in maniera visiva “optische” come dicono spregiativamente i tedeschi. Un ascolto può essere più ricco senza scene.

La sua carriera discografica è coincisa con l’avvento del cd, cosa pensa del cd?

Il cd riproduce il suono in modo numerico: più che il suono, è il “rumore” del suono. Ciò significa una sua immobilizzazione e l’obbligo per l’esecutore ad una fedeltà assoluta, soprattutto con la tecnica stereo-digitale prediletta dalla DGG. Una bella responsabilità.

E l’attività di compositore?

Non l’ho lasciata. Sto cercando di concentrarmi per la stesura di quattro lieder su testi del poeta austriaco Georg Trakl.

da Il Gazzettino 20 maggio 1989
di Roberto Pugliese.

Sinopoli, vita con Wagner

“Perché sto all’estero? In Italia oggi purtroppo si lavora male.”

[…]

A Venezia invece, quello del Tannhauser è stato il primo spartito di un’opera wagneriana che ho comprato, quando ero giovinetto, da un rigattiere… Avevo sedici anni! Dietro a San Marco, trovai questo spartito usato. Amai subito talmente la musica di Wagner, da acquistare poco dopo anche la partitura del Tristano; e da non comperare, fino ai ventotto anni, nient’altro che opere tedesche.

Dopo di che tutto è seguito come da ragazzo non avrei mai osato sperare neppure nei miei sogni più sfacciati.

Per alcuni è necessario essere italiani per poter dirigere Verdi come si deve, e ugualmente essere nati al di là delle Alpi per comprendere Wagner. Ma contano di più i legami culturali. Io ho una struttura mentale doppia: una legata al Sud dell’Italia, alla sua corrente umanistica; l’altra alle influenze mitteleuropee ereditate da mia madre, che era veneziana. A queste devo forse il mio amore per Wagner.

E’ vero che una volta diretto Wagner non si dirige più nulla allo stesso modo?

Wagner è pericoloso. Ad esempio rischia di essere più affascinante leggerlo che dirigerlo: la seconda esperienza da enormi soddisfazioni (il suono dell’orchestra wagneriana è unico); ma la prima fa scoprire cose ancora più meravigliose. Il valore drammaturgico dei suoi celebri “leitmotiv”, ad esempio: usati sempre con una pertinenza scenica assoluta, messi in contatto fra loro variano continuamente (proprio come farebbero degli autentici “personaggi”) creando così dei giochi di prospettive irresistibili. Certo: la mia stessa concezione del “Tannhauser”, dal ’85 a questa incisione, è un po’ cambiata. Più distesa, più lirica (e in questo c’entra anche la scelta di un tenore come Domingo), meno legata all’articolazione ritmica. Diciamo quindi che, una volta diretto Wagner, neppure Wagner può più essere diretto come prima.

In questo senso deve orientarsi anche la sua scelta di eseguire le varie fasi del Ring a Roma in forma di concerto (prossimamente farà Sigfrido)

Precisamente. Quella di Roma è l’occasione per un’insolita lettura “al rallentatore”: fa intuire cose che – col peso e la distrazione della messinscena- rischierebbero di scomparire. È pur vero che la musica di Wagner necessita assolutamente della messinscena: per me, ad esempio, sarebbe possibile registrare un’opera di Verdi senza averla prima fatta in teatro, ma con Wagner no.

 

Il Giornale

1 novembre 1989

di Paolo Scotti.