Sinopoli, vita con Wagner

“Perché sto all’estero? In Italia oggi purtroppo si lavora male.”

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A Venezia invece, quello del Tannhauser è stato il primo spartito di un’opera wagneriana che ho comprato, quando ero giovinetto, da un rigattiere… Avevo sedici anni! Dietro a San Marco, trovai questo spartito usato. Amai subito talmente la musica di Wagner, da acquistare poco dopo anche la partitura del Tristano; e da non comperare, fino ai ventotto anni, nient’altro che opere tedesche.

Dopo di che tutto è seguito come da ragazzo non avrei mai osato sperare neppure nei miei sogni più sfacciati.

Per alcuni è necessario essere italiani per poter dirigere Verdi come si deve, e ugualmente essere nati al di là delle Alpi per comprendere Wagner. Ma contano di più i legami culturali. Io ho una struttura mentale doppia: una legata al Sud dell’Italia, alla sua corrente umanistica; l’altra alle influenze mitteleuropee ereditate da mia madre, che era veneziana. A queste devo forse il mio amore per Wagner.

E’ vero che una volta diretto Wagner non si dirige più nulla allo stesso modo?

Wagner è pericoloso. Ad esempio rischia di essere più affascinante leggerlo che dirigerlo: la seconda esperienza da enormi soddisfazioni (il suono dell’orchestra wagneriana è unico); ma la prima fa scoprire cose ancora più meravigliose. Il valore drammaturgico dei suoi celebri “leitmotiv”, ad esempio: usati sempre con una pertinenza scenica assoluta, messi in contatto fra loro variano continuamente (proprio come farebbero degli autentici “personaggi”) creando così dei giochi di prospettive irresistibili. Certo: la mia stessa concezione del “Tannhauser”, dal ’85 a questa incisione, è un po’ cambiata. Più distesa, più lirica (e in questo c’entra anche la scelta di un tenore come Domingo), meno legata all’articolazione ritmica. Diciamo quindi che, una volta diretto Wagner, neppure Wagner può più essere diretto come prima.

In questo senso deve orientarsi anche la sua scelta di eseguire le varie fasi del Ring a Roma in forma di concerto (prossimamente farà Sigfrido)

Precisamente. Quella di Roma è l’occasione per un’insolita lettura “al rallentatore”: fa intuire cose che – col peso e la distrazione della messinscena- rischierebbero di scomparire. È pur vero che la musica di Wagner necessita assolutamente della messinscena: per me, ad esempio, sarebbe possibile registrare un’opera di Verdi senza averla prima fatta in teatro, ma con Wagner no.

 

Il Giornale

1 novembre 1989

di Paolo Scotti.