Strauss
1h 43′ 11″
Alessandra Marc (Elektra)
Deborah Voigt (Chrysothemis)
Siegfried Jerusalem (Aegisth)
Samuel Ramey (Orest)
Goran Simic (Der Pfleger des Orest)
Christiane Hossfeld (Die Vertraute)
Karin Wieser (Die Schleppträgerin)
Michael Howard (Ein junger Diener)
Walter Zeh (Ein alter Diener)
Helga Termer (Die Aufseherin)
Annette Jahns, Gabriele Sima, Elisabeth Wilke, Anne Schwanewilms, Katerina Beranova (Magd)
Konzertvereinugung Wiener Staatsopernchor
Wiener Philharmoniker
Giuseppe Sinopoli, direttore
Registrazione: Musikverein, Grosser Saal, Wien – settembre 1995 – studio
1° Edizione in CD DEUTSCHE GRAMMOPHON – 453 429-2 – (2 cd) – durata 51′ 35″ – 51′ 35″ – (p) 1997 – Digitale 4D DDD
“E’ un’opera mitica, che nasce da un’epoca di vuoto dei valori. Vuoto che, nella Vienna di fine Ottocento, un mondo che precede di pochi anni Strauss e Hofmannsthal, diventa sospensione di controllo etico, con l’inevitabile ingresso dell’ uomo in una fase istintuale e nevrotica: nasce la psicoanalisi, si costruiscono macchine da guerra, si creano gli imperi. Oggi attraversiamo una crisi anche più grave, che non a caso coincide con la ricomparsa dei fascismi. E attorno un vuoto ideologico pauroso. In quest’ assenza si ripropone il mito, coi suoi schemi grandiosi di necessità. Un confronto che ci obbliga a ripensare i fondamenti stessi della vita”.
“La musica di Strauss risponde con cadenze di valzer: avvelenato, sfiancato, in una circolarità da ventre gonfio, logorato da un virus. Un valzer ‘ alla’ Otto Weininger, emblema di vuoto e catastrofi. Nell’opera la descrizione dell’impulso monta in un’escalation sconvolgente. La rotondità del ventre, le sue dimensioni. Come una gravidanza isterica”. Si ripensa alla prima scuola analitica e agli studi sull’ isterismo di Breuer e Freud, che scoprono Elektra coeva allo scandaglio psicologico del tempo e ne rivelano la natura complessa di opera radicalmente femminile: “Opera di tre donne corrispondenti a tre livelli di coscienza. E che non dormono mai: ognuna soffre un conflitto con la figura maschile, l’amico o il padre, l’amante o il fratello. Per Crisotemide il padre non esiste. Lo cita solo una volta: ‘Il padre è morto’. Crisotemide è la rimozione, che introietta il problema nell’ urgenza di figliare: avere eredi, dunque sopravvivere. Elettra è tutt’ altro: alla vendetta ha sacrificato per intero il suo essere donna. La presenza del padre la possiede, è intrisa della fisicità della sua morte. Per questo deve uccidere. Poi Clitennestra, catturata dal conflitto della morte di Agamennone. Tre donne sole, insonni, al di là di qualsiasi problema morale. Sole nelle metropoli europee d’inizio Novecento”. L’ Elettra di Hofmannsthal e Strauss morirà a vendetta compiuta: “La morte, qui, diventa sublimazione esaltante. Non è, come nei tragici greci, un’espiazione della colpa, ma un modo di superare i conflitti tipici di una società di vuoto dei valori. La vendetta sostituisce ogni senso di giustizia. D’ altra parte il tema della lotta del figlio contro l’oppressione familiare è uno dei grandi nodi del pensiero di Hofmannsthal, il cui figlio si suicidò”. L’ uomo immesso nel perturbante triangolo femminile di Elektra è Oreste, “esecutore-ordinatore: un Burgermeister, un sindaco, colui che mette a posto. Non a caso, nella messinscena di Ronconi, sarà l’unico vestito da borghese: proprio in giacca e pantaloni”.
Nello schema assoluto dei contrasti, spiccano il matricidio e il parricidio: l’uno da compiere, l’altro acquisito. Risalta ancora l’attualità di Elektra, “in grado di riflettere” dice Sinopoli “i più inquietanti problemi del nostro tempo: la demolizione della famiglia, corrispondente alla demolizione del senso etico dello Stato”. Anche Ronconi sottolinea “gli aspetti del conflitto familiare incarnati da Elettra, non a caso personaggio molto frequentato dagli scrittori del Novecento. Elettra è fissa nello scontro con un’altra figura femminile o nel rapporto d’identificazione col padre. Chiusa comunque nel cerchio soffocante della famiglia. E a quest’osservazione violentissima di relazioni familiari s’intreccia, nell’opera, la constatazione della desacralizzazione del mondo”. Se pare implicita la lettura psicoanalitica, Ronconi sostiene che “la psicoanalisi, in Elektra, non è una ricerca, ma una volontà di cimentarsi con qualcosa di già scritto: un’operazione ‘ di genere’ . Hofmannsthal non è mai un provocatore, ma un artista che tende alla conciliazione. Molto più che morbosa, la sua Elektra si compiace di esserlo. Nessun espressionismo nel testo: piuttosto una ridondanza di tipo dannunziano”. La rivolta contro i sistemi Eppure Elektra è stata spesso definita espressionista. Anche Sinopoli nega: “L’espressionismo nasce dal sociale, dove l’arte si confronta coi problemi posti dalle metropoli a inizio Novecento. In Hoffmansthal e Strauss invece, l’arte è cerimoniale estetico. L’urlo dell’espressionismo, la sua rivolta contro i sistemi codificati che schiacciano l’individuo, diventa in Strauss un grido arcaico, legato a situazioni archetipiche. Atto solitario, non comunitario. E anche in Hoffmansthal la violenza della parola non è espressionismo, proprio perché non diventa mai sociale”. La musica riflette questa violenza nelle asprezze armoniche e nella fragorosità dell’orchestra imponente (“un chiasso orribile”, disse la prima interprete di Clitennestra Ernestine Schumann-Heink). Un terremoto, s’ è detto, di “buio e sangue”: come quello della piscina del “palazzo maledetto di Micene” che incornicerà l’allestimento “antinaturalistico” di Ronconi. In un unico impianto (“netto, deciso, senza riferimenti cronologici”) costruito da Gae Aulenti, il flusso delle sette scene scorre senza interruzioni per movimenti laterali “come dissolvenze cinematografiche”. Ma più che il buio, continua Ronconi, “dominerà un crepuscolo che rende difficile ai personaggi il riconoscersi, e che a tratti s’ apre a una luce fortissima, come nell’ incontro tra Clitennestra e Elettra”. Nulla che vada in un’unica direzione: “Per Elektra non è adottabile una chiave sola. Bisogna aprirsi a una lettura globale di interpretazioni. Non descrivendole, ma condensandole in un fatto emotivo”. Sta anche in quest’ ambiguità minacciosa il segreto dell attrazione fatale di Elektra.
Tratto da un’intervista di Leonetta Bentivoglio
La Repubblica 26 maggio 1994