I “Souvenirs à la mémoire” sono un ciclo di sette brevi composizioni: quattro in corsivo per orchestra due soprani e contro-tenori, tre per orchestra da camera senza partecipazione vocale che possono essere eseguite separatamente. Costituiscono queste ultime “Drei Stucke aus Souvenirs à mémoire” che rappresentano dell’intera opera la parte centrale, quella strettamente cameristica.
Gli strumenti vengono trattati nello svolgersi e svilupparsi delle strutture-base, non come solisti, bensì come elementi paritetici di un gruppo strumentale quasi sempre identificabile, tranne il secondo dei tre pezzi, con quelli della suddivisione dell’orchestra ( legni-ottoni-archi) svolgendo invece il pianoforte e la percussione un ruolo autonomo, ma non solistico, essendo anch’essi intrecciati con il giuoco totale dei parametri a cui anche gli altri gruppi partecipano. Questi gruppi, così definiti, possono essere ricondotti a quattro (flauto-ottavino, oboe, clarinetto, fagotto) per i legni, (corno, tromba, trombone) per gli ottoni, (pianoforte), (percussione), (violino, viola, violoncello, contrabbasso) per gli archi.
Questi cinque gruppi entrano tra loro in una dialettica circolare sulla base di una continua permutazione dei parametri sonori, che subiscono passando da un gruppo all’altro sostanziali negazioni o verifiche.
Vogliamo riferirci alle improvvise modificazioni delle dinamiche, delle regioni armoniche (queste ultime rigorosamente definite sulla base di un equilibrio intervallare che seleziona appunto dal totale cromatico ‘regioni’ volta per volta differenziate e caratterizzate da 6 a 8 suoni, la cui natura intervallare definisce funzioni diverse anche nel caso che componenti di una regione armonica, così costituita, entrino a far parte di una seconda regione) e della vettorialità (direzione lineare verso il grave e l’acuto) degli intervalli di una regione che caratterizza l’intero gruppo strumentale. Tutto questo sula base di un tempo che non scorre a carattere isocrono, ma che si articola su un pulsare continuamente variato di metronomo.
Le strutture sonore vengono così sottoposte a sbalzi violenti (la mutazione dei metronomi non è graduata, bensì improvvisa) che le accelerano ed decelerano, rendendo così il giuoco delle dinamiche, dei timbri e delle regioni armoniche ancor più caratterizzato.
Il secondo dei tre pezzi si differenzia dal primo e dal terzo per uno spengimento delle dinamiche che tendono a livellarsi sul pianissimo, sino quasi all’inudibile, e a rallentarsi sino a divenire un ‘adagio’ sullo sfondo onirico di un funerario non allusivo, e quindi, strettamente legato alla sfera dell’allegoria, bensì traccia smarrita di una disillusa esperienza simbolica.
Si è voluto con la presente nota descrivere pianamente ed dall’esterno ciò che trova radice altrove.
Una posizione alternativa rispetto allo strutturalismo degli anni ’50 ci impone di lasciare che il pensiero, nella sua componente strettamente logica, giuochi il suo destino senza remore.
“…s’impegnerà nell’immaginario, si tenderà all’estremo, fino a quel punto di libertà, di speranze e di angoscia che la sfera del pensiero forma, il sommamente razionale, di colpo capovolgendosi diventa il sommamente irrazionale“ (M. Blanchot).
Lasciamo da parte materie e spontaneismi decerebrati; un rito funerario all ”IO”, viene assunto come utopica indagine per uno stile rivolto indietro, nel tempo personale, fino a ridiventare, specularmente, allucinazione per una memoria che non ha più nulla da ricordare.