Sinopoli su Verdi

Per alcuni è necessario essere italiani per poter dirigere Verdi come si deve, e ugualmente essere nati al di là delle Alpi per comprendere Wagner. Ma contano di più i legami culturali. Io ho una struttura mentale doppia: una legata al Sud dell’Italia, alla sua corrente umanistica; l’altra alle influenze mitteleuropee ereditate da mia madre, che era veneziana. A queste devo forse il mio amore per Wagner.1

Mentre Verdi piace a tutti perché si muove nell’ambito degli affetti, la composizione di Wagner, che affronta i problemi della conoscenza, richiede un retroterra culturale, sia per gli interpreti sia per gli ascoltatori.2

Il nome di Verdi è fondamentale per un teatro d’opera.3

In quel momento impegnarmi su il giovane Verdi (a Berlino nel 1980 con Macbeth) era soprattutto necessità di chiarezza cioè impegnarsi con un materiale ridotto al minimo e invece con una violentissima carica semantica.
Il problema in cui mi trovavo io come compositore era quello di gestire una valanga enorme di materiali con tecniche complicatissime e polivalenti che potevano abbagliare e cadere provvisoriamente in allucinazioni tonali. Diciamo da questo gioco complicatissimo e carismatico di tecniche compositive per poi giungere ad una informazione semantica che si faceva grande fatica a tirar fuori ed esprimere, concentrarsi su un autore come Verdi in cui i segnali sono minimi, è arte povera. Però l’informazione è enorme e violentissima, quasi una arcaicità degli affetti.
Non c’è una ricerca del progresso storico della lingua in Verdi, quanto credo invece che sia una indagine sulla tipologia degli affetti e soprattutto sull’esternazione degli affetti che porti ad uno sviluppo e a una elaborazione della forma. La funzione, per esempio, del declamato nel Macbeth è già molto più importante che non di quanto lo possa essere nelle sue opere successive.4

In Verdi trovo una stratificazione di diversi elementi, politici, sociali, affettivi, e tutto connesso con un linguaggio musicale assolutamente pertinente a questi termini. E infatti nei miei progetti futuri ci sono altre opere di Verdi, Macbeth e Simon Boccanegra. Questa Aida è comunque assi diversa da quelle cui siamo abituati, è un’Aida triste, velata, e allo stesso tempo straziante, delirante. Lo stesso trionfo è visto piuttosto come un precipizio in cui vengono coinvolti i personaggi con i loro drammi.5

Nutro un grande amore ed un grande interesse per l’opera giovanile di Verdi. Non dirigerò però sempre le opere degli «anni di galera» di Verdi, questo è soltanto un periodo della mia vita. All’opera dedico la metà del mio lavoro di direttore: ogni anno programmo trenta serate di concerto e trenta serate d’opera. Per il melodramma ho dei progetti precisi, sistematici. Innanzitutto, vi è al giorno d’oggi un marcato interesse alle riscoperte, alle riesumazioni in genere, ad un’edizione me nota di Tannhauser, alla prima stesura di Buttefly o del Faust, interesse che coinvolge la musicologia e lo studio delle fonti. Quanto al primo Verdi, c’è da rivisitare certe opere che per varie ragioni sono rimaste in ombra. Almeno cinque opere mi interessano specialmente: Nabucco, Ernani, Attila, Macbeth, Luisa Miller, opere che ritengo più importanti di altre scritte in seguito. In Nabucco, come in Attila, si individuano procedimenti armonici e ritmici del tutto semplici che vengono impiegati in modo radicale e non retorico. Nelle arie del << primo Verdi>> viene illustrato quello che già era stato enunciato nel recitativo. In queste opere la mia interpretazione punta a dar evidenza a quello che sovente è stato giudicato negativamente, a dar evidenza all’accompagnamento nella sua funzione drammatica e strutturale. Nel giovane Verdi vi sono mezzi espressivi semplici e radicali, senza grande retorica, percorsi da una tensione inaudita, quasi fisica. Questo per me è molto moderno. Con eccezione di Mozart, non vi è stato nessun altro compositore come Verdi che abbia usato il materiale in modo tanto funzionale, una materia limitato, da trattare in modo moderno. Quando provo con l’orchestra, dico: «secco come Stravinsky». E sempre sostengo anche un’altra cosa: «non si deve fare del accompagnamento, questa non è musica d’accompagnamento. II dramma vive in orchestra, non sulla Scena».

1 SINOPOLI VITA CON WAGNER, Il Giornale, 1 novembre 1989, di Paolo Scotti.
2 SIGFRIDO, EROE DEL SAPERE , Il Messaggero 16 Maggio 1990 di Luigi Pasquinelli.
3 NON DIMENTICO MESSINA, di Franco Cicero.
4 SINOPOLI, I TRE CUORI DELL’UOMO, documentario Rai. Intervista rilasciata a Carmelo Di Gennaro
5 ANCHE UN COMPOSITORE D’AVANGUARDIA PUÒ SCEGLIERE LA MUSICA DI VERDI, 30 gennaio 1978, La Repubblica