Sinopoli su Puccini

Qual’è il suo rapporto con i cantanti, come vede la loro concertazione?
Le voci non sono strumenti rigidi, vanno lavorate e incanalate conducendole in assoluta naturalezza alla « propria » lettura dell’opera. Bisogna sentire la « fisicità» del cantare e dell’organizzazione vocale. E poi, io non sono certo un direttore che stacca tempi metronomici artificiosi. Nell’opera del resto non vi è un tempo metronomico assoluto. Bisogna sentire il senso del canto e far « crescere » l’opera di intesa stretta con i cantanti e gli strumentisti.

Ha diretto anche Puccini, con quali intendimenti?
Sempre più mi convinco che Puccini nulla ha da spartire con il verismo, era un musicista europeo, aperto agli influssi della scuola francese del tardo Ottocento ed anche ai Viennesi del primo Novecento. Tali influssi sono stati assimilati nel suo originalissimo stile, sia sul piano armonico sia sul versante della tecnica di strumentazione. In particolare, nella Fanciulla del West Puccini non ha «fotografato» la vicenda in termini veristici ma l’ha analizzata nell’aspetto psico-dinamico nei momenti nevralgici, con un’orchestra mobilissima, un fraseggio sottile e raffinato, una cura straordinaria del timbro e anche del canto. Infine, vi è in quest’opera una componente «liberty», un gusto di «liberty italiano» che mi affascina, al punto che ritengo la Fanciulla se non la più bella almeno la più interessante opera di Puccini, assai più avanzata e moderna di Turandot.

Quali sono le musiche che vorrebbe dirigere in un futuro non troppo lontano?
Nel teatro verdiano, Rigoletto in cartellone per l’inaugurazione del Maggio fiorentino 1984. Ancora di Verdi Forza del destino. di Puccini Manon Lescaut, Bohème, Tosca (in programma al Met con Domingo); dal 1985 in poi, nel repertorio tedesco , Salome, Elettra, Olandese volante, Oberon. Nell’ambito sinfonico Schumann, Brahms, Bruckner. Mahler, Berg.

Perché in ordine cronologico?
Piuttosto e soprattutto in ordine logico. In questi autori mi interessa, in modo diverso per ciascuno, il rapporto sofferente con la forma, tra la forma e l’ispirazione, cioè il sogno.

tratto da “Il dramma vive in orchestra, non sulla scena”
Il mondo della musica
di Luigi Bellingardi
intervista rilasciata tra il 1982 e il maggio 1984.