Toscanini si ripete

Roma. Sembrava che ce la fa­cesse Claudio Abbado, poi Riccar­do Muti. E invece sarà Giuseppe Sinopoli il primo italiano a dirigere una nuova produzione al festival di Bayreuth dopo Arturo Toscanini nei primi anni Trenta (e da allora, anche per quanto riguarda le ripre­se, si contano solo un paio di pre­senze italiane: il grande Vietar De Sabata nel ’39, Alberto Erede nel 68). A fine luglio Sinopoli debutte­rà nel prestigioso sacrario wag­neriano con ”Tannhauser”. E’ u­n’investitura definitiva per quello che Massimo Mila considera il più interessante fra i direttori italiani impostisi in campo internazionale di recente, «con una affermazione collettiva che non ha precedenti nella storia». Corteggiatissimo dai teatri italiani, che stavolta sono ar­rivati in ritardo rispetto alla Ger­mania (e all’Inghilterra, agli Usa), Sinopoli non potrà comparire in Italia a dirigere un’opera almeno fino al 1990, visti i molti impegni. E poi bisogna vedere se  vorranno e potranno accettare le sue tre con­dizioni: 1. prenotarsi per tempo, 2. garantire serietà di lavoro con regista e cantanti, 3. un’orchestra di buon livello. Intanto cerchiamo di “accontentarci” dei concerti sinfo­nici, delle incisioni  discografiche. A meno che non si riesca a organiz­zare un viaggetto a Bayreuth. Sino­poli è ormai stabilmente insediato nello starsystem della lirica, è un divo.

«Veramente credo di non aver proprio niente di divistico, è la cosa di cui sono più orgoglioso», ribatte subito. E a vederlo passeggiare con  il figlioletto Giovannino per via del Corso, o provare con l’orchestra di Santa Cecilia con modi autorevoli ma non autoritari, informali ma non dimessi, non si fa fatica a crederlo. Trentotto anni, molto snellito rispet­to all’aspetto massiccio di un paio d’anni fa, meno ex-sessantottino, an­che nel gesto s’è affinato, riducendo al minimo indispensabile i grandi sbracci e i salti pittoreschi che lo distinguevano. «Tutto questo movi­mento intorno a me nasce dal mio modo di far musica», spiega: «Non sono un direttore che tutti accettano senza riserve. Il consenso ecumeni­co mi annoierebbe a morte, del re­sto».

La singolarità di Sinopoli, come ha notato recentemente Massimo Mila, sta nel fatto che la sua forma­zione è più culturale che professio­nale : «E questo», dice Mila, «dà fastidio a molti e suscita  incredulità e diffidenze». Non ha fatto gavetta, insomma, né si presenta come l’in­carnazione di una mitica “musicalità naturale. Porta in­ vece nelle sue in­terpretazioni il frutto dei  suoi  stu­di,  la passione per la psichiatria (si è laureato in Medicina a Padova), l’intelligenza analitica, ”microstrutturale” che gli deriva dalla sua  iniziale attività di com­positore (I’ opera “Lou   Salomé” fece discutere molto qualche anno fa, in occasione della prima a Monaco di Baviera, e negli anni Novanta do­vrebbe essere ri­presa  in una nuova versione, se­condo un progetto a cui è interessato anche il Teatro Re­gio di Torino). Di qui anche il carattere forte­mente personale delle sue interpre­tazioni, special­mente teatrali. Fra l’altro, Sinopoli è uno dei pochi di­rettori che va a tut­te le prove di sce­na, che vede dav­vero quello che gli succede davanti, sul palcoscenico.

«Cerco sempre di trovare un rappor­to fra quello che succede in pal­coscenico e quello che succede in orchestra», afferma; «lavoro sempre molto intensamente col regista: ieri Ronconi (un esaltante “Macbeth” a Berlino) oggi Wolfgang Wagner, a Bayreuth.

«Il problema del “Tannhauser” è drammaturgicamente molto com­plesso. C’è già tutto il mondo di Wagner, un mondo dove l’amore può realizzarsi soltanto attraverso la morte.  Nel  caso  di “Tannhauser”

c’è un elemento in più. È un amore quasi astratto, quello di  Elisabetta e Tannhauser, non c’è neppure un ammiccamento fisico, nessuna concessione. Solo un’idea. Venere e Elisabetta sono due possibilità, entrambe non reali. Alla fine la perdi­ta di queste due immagini coincide con la morte di Tannhauser. Tan­nhauser può esistere soltanto rappresentando una di queste idee d’a­more. Se non può più rappresenta­re l’amore, muore. Vedo questo finale di “Tannhauser” in questa veste tragica come la rappresentati­vità impossibile di un’idea».

Ora Sinopoli affronta un mese di prove, e insieme ai suoi cantanti, scelti con un rigore estremo, senza compromessi, approfondirà ulte­riormente   la sua visione dell’opera wagneriana. Tan­nhaiiser sarà René Kollo,    Elisabetta sarà Gabriela Be­nackova, a Venere darà voce  Gabrie­le Schnaut:         per la “rappresenta­zione” di Elisabet­ta, quindi, un so­prano di estremo lirismo, che si av­vicina all ‘ideale voce di Elisabeth Griimmer; e per Venere,  anzi per la “rappresenta­zione” di Venere, un soprano dram­matico .

E  al   “Ring”, all’ “Anello del Nibelungo”, Sino­poli ci arriverà?
«Sicuramente, ma non subito, bi­sogna aspettare, a­spettare il più a lungo   possibile. Dopo “Tannhau­ser ‘, visto che con Wagner ci si deve confrontare conti­nuamente, farò  un ” Vascello fanta­sma” ».

Wagner viene ad arricchire un repertorio molto preciso, che ha limiti netti e  coscienti, si  direbbe. Giuseppe Sinopoli , l’intellettuale legato a doppio filo con la cultura mitteleuropea , che cita Adorno ma chiede subito scusa ( « bisogna superarlo,  lo so,  ma come dice Mario Bortolotto, bisogna prima trovare quello capace di superarlo»), anzi­tutto interpreta gli autori legati a questo mondo, fino a Mahler. Ma poi, specialmente nelle scelte “teatrali “, ricorrono  di  continuo  due nomi italiani: Verdi e Puccini .

« Non si può  dirigere tutto, s i può dirigere solo quello che ti interessa direttamente». Rispetta Rossini,  a­ma Donizetti e Bellini, ma  non si sente adatto a dirigerli: «Certo, se ci fosse una cantante come la  Cal­las, la tentazione di fare una ” Norma” sarebbe fortissima».

Verdi invece affascina Sinopoli , anche se i rapporti con Verdi sono sempre difficili: «Affronto Verdi co­me un incontro con  forme,  direi così, archetipiche. Quei suoi contor­ni netti, quella specie di solidità dei sentimenti». Puccini invece rientra perfettamente nei suoi interessi cul­turali primari. Puccini  è  l’altra fac­cia della crisi dei valori europei, espressione di una piccola borghesia piena di tremendi veleni: «Il male di vivere non si risolve in problema esistenziale, ma si annida nelle pic­cole speranze, nei piccoli desideri». Ora, dopo ” Tosca”, “Manon Lescaut”, ” Fanciulla del West” Si­nopoli affronterà “Madama Butter­fly ‘. Sta cercando di individuare una cantante che possa affrontare il ruolo sia in disco che in palcoscenico. Non ama le voci artefatte, co­struite in  sala di incisione .

«Spesso faccio un’opera in disco e poi i palcoscenico, m la prepara­zione e la stessa, c’e un unica visione. Quando si fa un disco bisogna essere in  grado di dimenticare che si sta incidendo. E’ solo per  caso che ci sono dei microfoni, che catturano un evento musicale autonomo. Ed è meraviglioso. Se il disco è invece un semplice fatto  di mercato, con tutti gli artifici e gli espedienti tecnici innaturali che talora accompagnano l’incisione, allora è da rifiutare . Perciò incido pochi dischi. Ci sono dischi di opere liriche che sono opere, e  altri che sono solo dischi».

Tutto  si  potrà  dire  delle opere incise da Sinopoli, ma non che si tratta di prodotti mercantili,  “solo dischi”. In autunno uscirà un atte­sissimo “Rigoletto”  (ultimo impegno con la Philips, prima del con­tratto in esclusiva con la Deutsche Grammophon), con Renato Bruson, Editha Gruberova , Neil Shicoff. E in settembre inciderà una “Forza del destino” con Rosalind  Plowright, Agnes Baltsa, José Carreras, Renato Bruson. L’orchestra sarà la Philar­monia di Londra, da due anni diretta brillantemente da Sinopoli, che ha raccolto la difficile eredità di Riccardo Muti. Per il ” Rigoletto” , invece, ed è forse il motivo di mag­gior interesse dell’incisione,  Sinopoli ha  voluto l’orchestra  dell’Accademia di Santa Cecilia, che sta portando a risultati sempre più notevoli . Le due anime  “orchestrali”  di  Sinopoli, insomma.

«Ci  sono  differenze  notevoli  fra orchestra e orchestra», dice Sinopo­li, che ha una vastissima esperienza in proposito: «Le orchestre italiane mancano essenzialmente di discipli­na.  Del  resto è un difetto che si può tentare di eliminare. A Santa Cecilia in due-tre anni sono migliorati  nettamente impegno professionale e disciplina, per esempio. Rispetto al­le altre orchestre, quelle italiane so­no invece capaci di trasmettere un ‘emozione in più. Santa Cecilia è capa­ce di grandi emozioni, non  ricordo un concerto a Santa Cecilia dove non  sia “successo qualcosa”.  Poi ci sono  le orchestre tedesche, la loro perfezione.

«A proposito»,  ricorda  Sinopoli, a Capodanno ho ricevuto un regalo davvero speciale, che mi ha colpito, proprio da un’orchestra tedesca, quella dell’Opera di Berlino. Mi hanno mandato una partitura del “Don Giovanni” con una lettera d’impegno, che avrei dovuto sottoscrivere, il mio primo “Don Giovanni” lo farò con loro. Quando sarà il momento.

Già, e Mozart ? Quando sarà il momento? «Mozart è troppo diffici­le. E’ un autore che amo moltissimo, che ascolto in continuazione, ma che mi fa paura con la sua  evidenza così violenta». Ma verrà il momento  an­che per Mozart? «Certo. Ma non so quando. Per ora ho da vedermela con Wagner. Non le pare già abbastanza?».

Di Giovanni Buttafava.