Schubert: Symphonie No.8 “Inachevée” – Mendelssohn: Symphonie No.4 “Italienne”

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Schubert

Sinfonia n.8 in si minore, D 759 “Incompiuta”

29′ 03″

Allegro moderato
16′ 32″

Andante con moto
12′ 31″

Mendelssohn

Sinfonia n.4 in la maggiore, Op.90 “Italiana”

32′ 06″

Allegro vivace
10′ 18″

Andante con moto
7′ 27″

Con moto moderato
8′ 17″

Saltarello: Presto
6′ 04″

Philharmonia Orchestra
Giuseppe Sinopoli, direttore

Registrazione: Kingsway Hall, London – giugno 1983 – studio

1° Edizione in LP DEUTSCHE GRAMMOPHON – 410 862-1 – (1 lp) – durata 61′ 43″ – (p) 1984 – Digitale
1° Edizione in CD DEUTSCHE GRAMMOPHON – 410 862-2 – (1 cd) – durata 61′ 43″ – (p) 1984 – Digitale DDD

Sogno e Memoria nell”‘Incompiuta” di Schubert

GIUSEPPE SINOPOLI

Al di là di qualsiasi tipologia sentimentale, l’”incompiuta” di Franz Schubert rappresenta uno dei momenti più sconcertanti nella letteratura musicale implicata nella categoria del funerario. Per tale s’intende la celebrazione cultuale del bene perduto. Se il bene non c’è mai stato, per essere sempre così intensamente anelato e mai raggiunto, esso viene trasposto in una zona limbica della coscienza e là posseduto come sogno.
La baudelairiana “apparizione irripetibile di una lontananza” che Walter Benjamin trasforma nel concetto di aura, trova cosi nella sfera dell’onirico un suo modo d’essere. “L’apparizione” avviene nel sogno e ivi, annullata  “l’estrema lontananza”, posseduto il bene.
La realtà (il risveglio) significherà rimettere la benda al mondo delle cose amate, accecarle e quindi perderle.
Ora la musica della Sinfonia in si minore riflette gli stadi intercorrenti tra “l’apparizione'” del “bene amato” come sogno o memoria, e l’urlo dell’ “accecamento”, della perdita.
Sogno e Memoria, la cui pronunciazione velatissima è sempre minata dalla tenuità effimera che sorregge la loro emergenza da una parte, e l’urlo improvviso ed il fremito che nascono dalla sensazione angosciante del vuoto e del silenzio dall’altra, mi pare che rappresentino uno dei momenti più fondamentali e tragici dell’ “incompiuta”.
Sogno e Memoria bandiscono ogni emozionalità diretta (non si dimentichi che la dinamica del secondo tema del primo movimento è pp) e ogni tendenza epica.
Per questo ogni volontà costruttiva viene come sospesa. I temi appaiono isolati come delle monadi, al di là di qualsiasi rapporto col tempo. Sono delle melodie vaganti in cui la idea e la volontà di sviluppo cedono al desiderio del canto. Ne nasce una tristezza indicibile ed il divino, il celestiale di Schubert non è che l’atemporalità della sua musica, il coincidere miracolosamente di questi contenuti, come senza attrito con una forma-sonata tutta concretezza di funzioni e di storicità. La Durchfuhrung, e forse per la prima volta, non è momento astratto-costruttivo legato alla concretezza della temporalità, ma dilatazione angosciata e angosciante del carattere vagante del canto tematico, sottoposto alle tragiche attrazioni del vacuo, come all’inizio dello sviluppo, o alle esaltanti isterie dell’assenza poi.
Il canto è solo sogno o memoria. La fisicità dinamica e l’espansione vitalistica del cantabile sono proibiti. Tutto è trattenuto sull’orlo dell’abisso del nulla.
I ritmi ostinati funerari dei pizzicati delle viole, dei violoncelli e contrabbassi in tutta la prima sezione tematica sono gli orologi ossessivi della memoria, larve che invadono i vuoti del presente. Tutto ciò analogamente e anche sostanzialmente altrimenti che in Mahler.
Se infatti in questo senso Mahler rappresenterà alla fine del secolo il punto focale delle tendenze lesioniste e autolesive del soggetto (ormai in fase di esplicita “regressione”, imprigionato dalle scadenze temporali e tendente ad assimilare le periodicità ossessive dei ritmi funerari con la regolarità inebetita dei Wiegenlieder), questo accade nel rovello di una tensione incolmabile e irriducibile tra i contenuti dichiaratamente privati e la forma storica continuamente dilaniata dalla incompatibilità tra le funzioni armonico-formali e i significati che con essa si confrontano.
In Schubert invece si assiste ad una ineffabile immanenza del contenuto nella forma depositata. Il significato musicale pare così garantito, per dirla con Adorno, da una “ontologia della forma” che fungerebbe da stabilizzatore delle “tendenze epiche”.
Però non si tratta tanto di garanzia e di stabilizzazioni riduttive da parte della forma sul significato musicale (il che implicherebbe ancora una volta una lettura interpretativa classicista della sinfonia), quanto di una immobilizzazione della forma da parte di quell’ lnhalt che la visita.
Il momento magico di quest’incontro è il suono di questa Sinfonia, tutto schubertiano e particolarissimo.
Parafrasando quanto Karl Kraus dice della “parola” si può dire di quel suono che … “quanto più da vicino lo si ascolta tanto piò lontano esso ascolta”.