NON DIMENTICO MESSINA

Quali pensieri attraversano la mente di un maestro, come lei, operante da anni ai massimi livelli mondiali, a poche ore dalla <<prima>> di un teatro che ha <<taciuto>> per tre quarti i secolo?

È un onore pensare che il mio nome rimarrà nella storia del teatro Vittorio Emanuele. È una grande emozione perché significa riaprire un discorso con una città – cui sono legato da profondi vincoli (mio padre è messinese) – che per ingiustizia politica è stata privata di uno strumento fondamentale per l’evoluzione civile: un teatro musicale. Un teatro nuovo per essere uno stimolo di speranza per una nuova giustizia anche per il Sud.

C’è quindi un aspetto sentimentale in lei: cosa ricorda di Messina?

Non vivo mai un’esperienza solo dal punto di vista professionale , ma sempre anche da quello umano: io dirigo nel tentativo di poter capire le ragioni per cui si vive. I ricordi di Messina sono molti e si sono trasformati anche nelle scelte del programma. La Quinta di Mahler, ad esempio, fu concepita in un periodo in cui l’autore sentiva il bisogno di dare voce sinfonica alle musiche della strada, ai rumori delle giostre del Prater viennese, alle bande. Ecco, le bande musicali, quelle le ricordo ancora le associazioni concertististiche cittadine non operavano, erano l’unica fonte di diffusione musicale.

Vuole illustrare i motivi che le hanno consigliato di scegliere il programma per l’inaugurazione?

Il nome di Verdi è fondamentale per un teatro d’opera. Avevo pensato alla sinfonia dell’Aida, perché questa è stata l’ultima opera replicata prima della tragedia del 1908. Si tratta , però, di un brano raramente eseguito, che lo stesso autore ritirò e non amò. Sarebbe stato, quindi, un gesto poco simpatico nei confronti della volontà di Verdi. La scelta è così caduta sui “Vespri”, anche per l’ambientazione che riguarda la Sicilia, con Messina che fu, tra l’altro, una delle prime città a dare l’avvio all’insurrezione. Il brano di Ravel “Le tombeau de Couperin” dà la possibilità di mettere in risalto le qualità solistiche dell’orchestra. Di Mahler ho già parlato: la quinta è una sinfonia imponente, un punto interrogativo consapevole, ideale per chi, come me, torna in una città piena di ricordi.

Un programma impegnativo, dunque, che non concede spazio a facili effetti.

Si. è un programma per una serata seria, rivolto ad un pubblico qualitativo che non ha bisogno di “boleri” o “patetiche”, perché Messina è sede di Conservatorio di associazioni, ed ha tradizioni musicali.

Lei e la sua orchestra siete i primi a provare l’acustica del Vittorio. A prove finite, che ne pensate?

Il Vittorio Emanuele è un teatro d’opera, come tale può dare difficoltà quando è sede di concerto. È normale, capita anche in altri teatri illustri, come la Fenice di Venezia. Abbiamo avuto stamattina dei momenti di preoccupazione, perché pensavamo di non trovare il giusto suono. Poi , invece, abbiamo studiato le soluzioni adatte Se avessimo avuto sette giorni di provw ci saremmo adeguati perfettamente all’acustica del Vittorio che, comunque, darà molto travaglio alle orchestre ed ai direttori non navigati.

Tornerà a Messina?

Quando sono lontano da casa ed il mio bambino mi dice per telefono “vieni”, io andrei subito, ma non posso. Tuttavia, io sono il direttore dell’Orchestra Nazionale di S. Cecilia, e con essa verrò prima possibile a fare un concerto, a qualsiasi condizione. Su questo, cioè messinese, mi impegno e questo succederà: una città , tra Napoli e Palermo, deve avere un’attività.

Ecco, lei ha toccato un punto fondamentale. Come dovrebbe svolgere il Vittorio questa attività? In base alla sua grande esperienza, quali sono i pericoli da evitare assolutamente?

Ho avuto l’impressione, da quando sono arrivato qui a Messina, di percepire attorno al teatro pressioni per interessi non musicali. Spero che vengano respinte, e che i cittadini si mettano insieme, al di là delle diverse versioni, per valorizzare le cose buone che ci sono in questa città. La cosa veramente difficile è trovare un rapporto tra produzione, istituzioni e forze musicali che ci sono. Ad esempio in questa fase non credo sia opportuno realizzare un’orchestra stabile, ameno che non si faccia in modo affrettato, riunendo ottanta persone che poi, con le leggi che ci sono in Italia, sarebbero impossibili mandar via. Per primi anni si dovrà andare avanti con orchestre e produzioni ospiti. Le istituzioni del teatro dovrebbero essere molto agili e funzionali. Qualunque decisione va comunque presa senza fretta: c’è una cosa che parte da zero ed è un’occasione quasi irripetibile e bisogna farla crescere bene.

Un’ultima cosa: si sa che un figlioccio è sempre bello ma, onestamente, cosa ne pensa dell’estetica del teatro?

Si è seguito un principio di un rinnovamento radicale e moderno: è molto meglio questo che una parziale o pasticciata ricostruzione, che non avrebbe mai potuto essere fedele e, oltretutto, sarebbe costata una follia. Certo, con qualche tappeto in meno…”

di Franco Cicero.