LA TV ALL’ OPERA

ROMA – Sale la musica classica, scende la televisione. Zoppica il varietà, sbanda Fantastico, Macao annuncia la disfatta, cala il consumo della tivù in generale. Ma Veltroni annuncia: c’ è un aumento netto e costante del consumo dei musei (più 15 per cento), dei concerti e della lirica (più 12 per cento). Esulta Mediaset per i 350 milioni di spettatori guadagnati lungo i quindici anni e i 350 appuntamenti di Domenica in concerto, il programma che la domenica mattina su Retequattro ripropone le serate della Filarmonica della Scala, con punte di tre milioni di contatti e un ascolto medio di oltre trecentomila fedelissimi. Non è l’ unico dato positivo sul pubblico reale e potenziale per la musica classica e la lirica in televisione.

Il 14 luglio il concerto diretto da Muti a Sarajevo e trasmesso da RaiUno ha avuto punte d’ ascolto di 1.317.000 spettatori, pari all’ 8,13 per cento di share. L’ Otello diretto da Abbado al Regio di Torino e trasmesso in diretta da RaiDue è stato festeggiato da quasi un milione e mezzo di spettatori in prima serata: pubblico doppio rispetto a quello del Don Giovanni, sempre diretto da Abbado, trasmesso a tarda ora in differita. A dimostrazione del fatto che non è la mancanza di spettatori interessati a determinare l’ audience di un prodotto culturalmente “alto”, ma la sua collocazione in fasce orarie scomode e inopportune. Tra palinsesti che insistono nel penalizzare l’ inversione di tendenza, il presidente della Rai Siciliano promette: il ’98 sarà l’ anno della musica in televisione.
(Ma quale musica, si sono chiesti di recente in occasioni pubbliche musicisti come Muti e Pollini? L’ evento? Il concertone? L’ avvenimento-pretesto per cornici mondane?). Intanto però la stagione ’96-‘ 97 parla di 7.345 minuti di emissione, cifra “povera”, superiore solo a quella del teatro di prosa. Ed è grave il dato che riguarda la sovrapposizione dei programmi: una controprogrammazione spietata ha infierito sul 20 per cento di quel che è stato trasmesso in questo campo, nel senso che almeno due reti nell’ ultima stagione hanno trasmesso in contemporanea musica classica, costringendo il pubblico interessato a dividersi (i concerti su Retequattro e RaiTre la domenica mattina sono soltanto uno tra gli esempi possibili). E’ una percentuale clamorosamente alta in rapporto alla scarsa quantità di tempo che la tivù pubblica e privata dedica alla musica classica.

Molto più alta del varietà, trasmesso per una quantità di tempo sei volte superiore (41.408 minuti), eppure controprogrammata solo al 28 per cento. Sulla scottante materia si fa interrogare Giuseppe Sinopoli.
SINOPOLI: SENZA ARTE DEMOCRAZIA A RISCHIO ROMA – Il ’98, annuncia la Rai, sarà l’ anno della musica in televisione.

“… E il ’99 sarà l’ anno della cucina, e nel Duemila toccherà ai fiori…”.

Vuol dire che non c’ è da crederci?
“Voglio dire che è un manifesto programmatico insensato. La Rai ha perso ogni credibilità nei confronti della musica classica quando ha smantellato le sue orchestre, operazione di suicidio culturale in un paese arretratissimo rispetto al resto d’ Europa per quanto riguarda il numero di orchestre e l’ informazione sinfonica in generale. Le tre formazioni Rai andavano non solo fatte sopravvivere, magari identificando forme di corregenza con altre strutture, ma potenziate, rese competitive”.

Intanto i dati Auditel parlano di un pubblico crescente interessato alla musica classica e alla lirica.
“E’ un pubblico appassionato, che cerca di supplire all’ assoluta mancanza di quell’ informazione musicale che lo Stato avrebbe il dovere di dargli nell’ educazione scolare di base. E’ un pubblico eroico, che si organizza come può”.

Eroismo in aumento: Veltroni sostiene che è cresciuta la frequentazione dei concerti e dei musei.
“Nel secondo caso si può calcare il ritmo di osservazione e fruizione tipico della cultura di massa: presenzialismo con impegno minimo, visto che il museo può essere semplicemente attraversato, e con ciò il visitatore ha guadagnato il suo gettone di presenza. Al concerto invece devi stare seduto, zitto, concentrato. Devi essere più motivato rispetto al percorso senza opinione della maggior parte dei visitatori di musei. D’ altra parte è l’ assenza di opinione il problema centrale dell’ informazione nel nostro tempo”.

In che senso?
“L’ opinione non esiste più. Esiste l’ esternazione. Ogni scemo del villaggio può dire la sua, che si tratti di politica, di problemi sociali, di cultura, di religione… E visto che la libertà, diceva Gandhi, nasce solo da profondi conoscimenti, è la democrazia, che per sua natura è fondata sulla libertà di scelta, ad essere in pericolo. La democrazia ci insegna Socrate, esige techné. Senza opinioni non c’ è libertà di opinione. Situazione aggravata dalla tragedia di Internet”.

Tragedia?
“Proprio. Perché è tragico un meccanismo che azzera ogni selezione di notizie: chiunque è legittimato a darne solo in quanto accede a Internet. Se prima le informazioni venivano filtrate da un direttore di rete o di giornale, con Internet si può lanciare qualsiasi informazione senza il minimo controllo. Sul piano formativo è un disastro. Se, mettiamo, a Canicattì c’ è un teatro d’ opera che decide di promuoversi come il migliore del mondo, chi accede a Internet senza previa formazione è tenuto a pensare che l’ opera di Canicattì sia molto più importante della Scala”.

C’ è un modo, secondo lei, di fornire un’ informazione seria sulla musica tramite la televisione?
“Non negli attuali spettacoli televisivi. Anzi, parlare di musica in certi contenitori diventa controproducente: si rischia di svendere l’ argomento, di omologarlo al livello del resto”.

Si è parlato di affidare Macao alla Ricciarelli.
“Molto meglio la Parietti, con la sua ironia e il suo atteggiamento spigliato e dissacrante. E poi, perché mai si dovrebbe parlare di musica in un contesto del genere? Sarebbe come leggere Plotino al mercato. Insisto: il problema va affrontato nella scuola, non dal podio televisivo”.

La televisione attuale, dice Riccardo Muti, rischia di ‘americanizzarci’ , nel senso peggiore del termine. E’ d’ accordo?
“Assolutamente sì. Ed è un rischio terribile. La democrazia americana non nasce dalle forti premesse culturali che fondano la democrazia in Europa. E’ un modello pericolosissimo da seguire”.

Ma intanto il fatto che l’ audience del varietà sia in discesa non dimostra l’ esistenza di un pubblico più interessato a prodotti culturalmente “alti”?
“Quello del varietà è un discorso che riguarda il presunto ebetismo dello spettatore. La tivù, sia pubblica che privata, si comporta ormai come se l’ Italia fosse costituita per intero da ebeti totali. Certi programmi sono precipitati a un tale livello che persino lo spettatore medio-ebete reagisce”.

Non pensa che la televisione possa anche essere in grado di dare informazioni complesse in modo semplice?
“Certo che può. Penso a Piero Angela. I suoi programmi sono utili e seri. Ma si riallacciano a un’ informazione che tutti hanno ricevuto a scuola, a un fondo comune di formazione scientifica elementare che invece in ambito musicale manca del tutto. Con la musica non si può fare un’ analoga traduzione di linguaggio”.

Sostiene Pavarotti: i concerti dei tre tenori in mondovisione portano la lirica anche a chi la ignora, dando una sollecitazione che può condurre altrove. In quel pubblico ci sarà qualcuno che andrà ad assistere a un’ opera ‘vera’ .
“Le risulta che i romanzi di Christian Jacq abbiano mai stimolato studi di egittologia? O che i fumetti di Asterix abbiano incoraggiato approfondimenti della storia romana?”.

Leonetta Bentivoglio