
L’attività musicale di Giuseppe Sinopoli s’è sempre equamente divisa tra il teatro musicale e il repertorio sinfonico/corale; anzi, per meglio dire, forse proprio il repertorio sinfonico ha avuto, perlomeno negli ultimi anni, una leggera preminenza, dato che Sinopoli, come sapete, è stato per molto tempo direttore musicale della Staatskapelle di Dresda. Come avevamo avuto modo di individuare nel repertorio teatrale, anche in quello sinfonico/corale le scelte del direttore italiano sono sempre state orientate da un profondo rigore estetico. Le scelte, come le esclusioni, naturalmente. Converrà allora partire proprio da ciò che Sinopoli non hai mai diretto (o quasi) per capire poi, in positivo, le ragioni culturali che lo spinsero a costruirsi un repertorio d’elezione. Prima ancora, però, di concentrarci sul repertorio di Sinopoli, vorrei cercare di farvi capire cosa significava, per lui, fare il direttore d’orchestra. Molte volte, lo stesso Sinopoli s’è definito molto più semplicemente, se così si può dire, un «uomo di cultura». In un ‘intervista a me rilasciata per la radio, diversi anni fa, esattamente dieci, nel 1992, Sinopoli affermava con chiarezza quello che si può definire un vero e pro prio manifesto programmatico del suo lavoro; come sempre, in Giuseppe, il pensiero precedeva l’azione. Dunque, mi par vero già allora, e oggi assumono un rilievo ancora più decisivo, le dichiarazioni d’intenti che vedevano nel direttore non già un «uomo di potere», non certamente uno «showman», bensì un « mediatore culturale», ossia qualcuno che media tra l’opera e il pubblico. Per tale ragione, prosegue Sinopoli, «ho cercato d’eseguire – cito a memoria – la musica con la quale sentivo di avere le carte in regola, della quale potevo spiegare non solo il testo, ma an che l’antetesto o il sottotesto». In questa importantissima affermazione risiede una delle ragioni delle molte esclusioni di autori anche importanti o importantissimi dal repertorio di Sinopoli: sopra tutti direi Stravinsky. Il maestro italiano ha sempre detto di essere – evidentemente – in grado di capire la struttura, a volte anche estre mamente complessa, della musica di Stravinsky, ma di non comprenderne il significato. Ossia, quell’artisanat furieux, quella sovrana capacità di aderire a stili diversi e lontanissimi tra loro, quell’incredibile propensione ad adattarsi camaleonticamente a modi diversi di fare e pensare la musica, sono sempre parse a Sinopoli, tanto per dirla con Adorno, «effetti senza cause». Un altro momento importante, nel quale Sinopoli si distinse non solo e non tanto come grande direttore ma proprio come uomo di cultura, fu quando tenne a battesimo, col concerto inaugurale, nel 1994 l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, nata, come ricorderete, dalle ceneri delle orchestre sinfoniche di Torino, Milano e Roma. In quell’occasione, come di consueto, disse cose molto lucide e anche molto dure; ponendosi il problema della cultura musicale in Italia, che secondo Sinopoli doveva essere affrontato anche da chi faceva il suo mestiere, egli paragonava la situazione della cultura musicale, appunto, italiana con quella della Grecia dei colonnelli, o con i paesi del terzo mondo. Dunque, proseguiva il maestro, il fatto che a Torino si fosse formata un’orchestra era diventato un fatto tragicamente importante (sono le sue esatte parole).
«Noi altri direttori italiani – proseguiva – non possiamo fare solamente i divi con le grandi orchestre con le quali veniamo in tournée, ma dobbiamo (come imperativo morale) fornire la nostra prestazione artistica e professionale all’orchestra Rai di Torino. Bisogna contribuire alla sua crescita, altrimenti si pecca di irresponsabilità ».
Allora, appare ancora più chiaro quale sia, per Sinopoli, la missione del direttore: mediatore culturale, certo, ma con precise responsabilità anche sociali. Dopodiché, l’altra esclusione ‘clamorosa’, va da sé, è quella che riguarda Mozart; in diverse occasioni, interviste e incontri, Sinopoli disse che considerava Mozart praticamente ineseguibile. A tale quasi paradossale affermazione faceva seguito una giustificazione d’ordine culturale di rara intelligenza: dunque, Sinopoli diceva che la musica di Mozart presentava gli stessi problemi di un opus in senso massonico; ossia, dietro l’apparente razionalità, è sottesa una totale irrazionalità costruttiva. Mentre in Beethoven e Bruckner la razionalità dell’ascolto corrisponde alla razionalità della scrittura, in Mozart la simmetria formale è solo apparente, mentre la costruzione è asimmetrica. Si verifica un caso analogo nei templi greci del V e del IV secolo: apparentemente sono simmetrici, in realtà sono totalmente asimmetrici.
«Chi non vede questo problema – prosegue Sinopoli- può eseguire Mozart, chi lo vede, invece ha qualche problema, perché Mozart va fulminato. Nel senso che la realizzazione del suono è sempre lontana e distante, follemente distante dalla miseria con cui oggi qualsiasi interprete di Mozart riesce a realizzarlo. Mozart è un autore che riesce stupendamente a chi si accontenta. È come fare lo schema di una galassia lontana e accontentarsi dello schema sulla lavagna: un altro conto è raggiungerla la galassia».
Mi pare valga la pena di riflettere ancora un attimo sul concetto, espresso con grande bellezza da Sinopoli, riguardante il fatto che – a suo modo di vedere – Mozart andasse «fulminato » nel momento dell’esecuzione. È un’idea che mi ricorda molto da vicino posizioni estetiche simili da parte di un musicista, a dire il vero, molto lontano da Sinopoli, per tante ragioni, come Glenn Gould. Anche il pianista canadese riteneva infatti che la musica, in particolar modo quella di Bach, andasse svincolata dalla fisicità dello strumento, quasi che nel momento della sua realizzazione materiale si potesse in qualche modo corrompere, e più che ‘suonata’ andasse ‘pensata’. Ora, l’estrema velocità d’esecuzione di determinate pagine bachiane, ma non solo, suonate da Gould ci ricorda da vicino quella volontà di ‘fulminare’ la musica di Mozart che Sinopoli esprimeva nell’intervista a me rilasciata. Non solo: alla considerazione conclusiva che Mozart andrebbe più che eseguito letto in partitura, Sinopoli aggiungeva una considerazione che avrebbe sviluppato negli anni a venire, dicendo che la musica di Wagner era meglio ascoltarla che vederla realizzata in scena. Arriviamo ora a capire, questa volta in ‘positivo’, le ragioni di alcune scelte; avete già sentito che il repertorio d’elezione di Sinopoli s’incentrava, in maniera quasi esclusiva, sulla grande scuola austro/tedesca, direi soprattutto Schumann, Liszt, Brahms, poi Mahler (esiste l’integrale sinfonica e dei Lieder con orchestra), Bruckner (purtroppo l’integrale prevista non è mai stata completata), Richard Strauss, sino ad arrivare alla Seconda Scuola di Vienna (della quale aveva in programma l’incisione completa delle opere per orchestra). Vorrei partire da Schumann, perché sullo Schumann autore sinfonico per molto tempo è gravato un pesante pregiudizio, ossia quello di essere un compositore che orchestrava con difficoltà. Sinopoli, con la sua interpretazione di cristallina chiarezza, fa piazza pulita di questo pregiudizio e qui possiamo rilevare un’altra caratteristica del lavoro interpretativo di Sinopoli, che ritroveremo anche in Richard Strauss; ossia, quella di ribaltare luoghi comuni, posizioni radicate e ribadite dalla pigrizia intellettuale o dal rispetto della cosiddetta «tradizione», che il più delle volte, come diceva Oscar Wilde, è un insieme di cattive abitudini. E c’è un’altra riflessione che va fatta, ossia ca pire quanto Sinopoli aborrisse il concetto di ‘bel suono’, vale a dire quell’estetica, anche direttoriale, che ha sempre teso a far suonare le partiture il meglio possibile, ma gari ‘ripulendole’, appunto, da supposti er rori d’orchestrazione. Però attenzione: non è che l’idea di ‘emendare’ partiture difficili sia appartenuta solo a musicisti innamora ti del ‘bel suono’ fine a se stesso, anzi, tal volta è stata appannaggio anche di maestri grandissimi, tra i quali possiamo ricordare Brahms, la cui versione corretta delle sin fonie di Schubert capita di ascoltare piut tosto frequentemente, oppure Mahler, a cui facevo riferimento nella mia intervista, che si prese la briga di rivedere l’orchestrazione di Schumann, o Strauss e persino Wagner, se non erro, che rimisero mano alla Nona di Beethoven. Tutto ciò faceva parte di un’estetica che, molto in voga tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, a Sinopoli è estranea, così come gli è estra neo il concetto di ‘ricostruzione filologi ca’ (lo capiremo parlando di Mahler). La posizione del direttore italiano la si potreb be così riassumere: Sinopoli esegue la pa gina scritta rispettando – ove sia ben evidente – anche le difficoltà d’esecuzione se esse corrispondono esattamente a un pensiero forte, indagato anche nelle sue (reali o apparenti) contraddizioni.
Inusuali accostamenti
La maniera forse più intrigante per accostarsi a quello che è stato il nucleo, il nocciolo forte del repertorio sinfonico di Sinopoli la possiamo individuare in una sorta di percorso trasversale, vale a dire arrivare a Strauss e Schonberg passando per Respighi. Occupandosi sistematicamente del periodo di passaggio tra l’Otto e il Novecento, Sinopoli giunge, tangenzialmente ma non troppo, ad occuparsi dei poemi sinfonici del compositore bolognese, vale a dire della cosiddetta Trilogia di Roma, intuendo immediatamente che in Respighi, così come in Puccini, Strauss e Schonberg, il timbro diventa elemento fondante della composizione, con un procedimento tipico della cultura liberty e dello Jugendstil. La complessità di relazioni, poi, s’esplicita e diventa evidente in modo palmare quando ci si riferisce al Pelleas und Melisande di Schonberg, dove proprio la ricerca timbrica, favorita da stacchi di tempo estremamente più lenti rispetto alla norma, diventa il centro dell’analisi. Riconoscendo in questo poema sinfonico giovanile non già il compositore che, da lì a qualche anno, avrebbe rivoluzionato il modo di costruire la musica, quanto piuttosto un maestro che, consapevole della tradizione enorme che gli scava alle spalle, si confronta col suo tempo inserendosi a pieno titolo nella temperie culturalmente più avanzata, certo, ma non ancora rivoluzionaria. Che è poi una poetica tipicamente schonberghiana, se ricordiamo, appunto, che lo stesso maestro austriaco non considerò mai se stesso un radicale ‘ innovatore’, un sovvertitore, bensì un semplice (se così possiamo dire) continuatore di istanze estetiche che già Wagner aveva individuato, dal punto di vista naturalmente del linguaggio musicale. Nell’esecuzione di Sinopoli, dunque, diventano chiarissimi i nessi di Schonberg con il Tristano di Wagner, così come col Richard Strauss dei poemi sinfonici, soprattutto di Morte e trasfigurazione.
Richard Strauss e Anton Bruckner
Non meno intensa, anche se mai acritica, fu la passione di Sinopoli per la musica di Richard Strauss. Dicevo mai acritica e la giustificazione di questa asserzione la si ricava da dichiarazioni dello stesso direttore: egli si diceva estremamente interessato allo Strauss che definiva «impegnato », o perlomeno quello Strauss che lui riusciva a leggere come ‘impegnato’, mentre confessava di non sapere da dove partire per eseguire, per esempio, lavori come la Sinfonia domestica o I tiri burloni di Till Eulenspiegel, vale a dire pezzi dove la tentazione descrittiva della musica straussiana diventa predominante. Anche se letti in un’ottica liberty, come Giuseppe amava dire, dove la superficie diventi più importante del contenuto, pare indubitabile che questi due pezzi non presentino quella profondità che lo stesso Hofmannsthal tendeva a trovare proprio in superficie (e non a caso Nietzsche accusava i tedeschi del loro tief, del loro profondo). Dunque, in via preliminare, Sinopoli chiarisce molto bene quale sia la sua posizione nei confronti della musica orchestrale di Strauss. Ed effettivamente, nelle sue esecuzioni discografiche e/o concertistiche troviamo con una certa frequenza il Don]uan ma soprattutto la Sinfonia delle alpi, della quale già Sinopoli ci forniva una chiave di lettura straordinariamente interessante. Credo che nessuno abbia mai diretto questo pezzo come è stato capace di fare Sinopoli; proprio a questo capolavoro, che mi apparve – scusatemi il ricordo personale – in tutta la sua grandezza solo dopo averlo ascoltato dal vivo, in un memorabile concerto a Locarno, appunto diretto dal maestro veneziano, Sinopoli dedicò una puntata di un programma radiofonico da me ideato che s’intitolava Ascoltando il secolo. Ancora una volta, è alle sue affermazioni che mi sono riferito, in nanzitutto perché ciò dimostra in maniera inequivocabile quanto Sinopoli fosse prima di tutto uomo di cultura e poi direttore, l’ho già detto molte volte, ossia perfetta mente in grado d’inquadrare storicamente e anche politicamente la figura di Strauss, chiarendo – tra le altre cose – quali furono i rapporti del compositore monacense con il Reich, un argomento ancora oggi scottante e tema di studio e ricerca. Detto ciò, bisogna anche capire quale fu l’idea fondante che guidò l’interpretazione veramente rivelatrice di Sinopoli: ossia, lo dico in parole povere prima di ascoltare le parole di gran lunga più affascinanti espresse dal direttore, che la Alpensinfonie non sia il semplice ritratto di una gita in montagna, bensì una riproposizione del problema della natura in termini nicciani. Ancora una volta, ciò che affascina, e che si coglie magnificamente nelle esecuzioni, è la capacità di stabilire relazioni, di trovare punti di contatto tra la musica, la letteratura, la cultura in generale, che ci fa capire quanto l’enunciazione del ruolo del direttore come«mediatore culturale » – espressa da Sinopoli stesso in apertura – sia veramente stata sentita dal maestro come un’esigenza, non come una posa.
Per quanto riguarda Bruckner, e lo stesso discorso lo farò tra poco con Mahler, mi è sempre parsa talmente impeccabile ogni esecuzione diretta da Sinopoli, sia dal vivo, sia in disco, da non indurmi quasi mai a parlarne con lui. Ricordo solo, nel corso di qualche colloquio privato, che mi disse come il suono delle sinfonie di Bruckner fosse assimilabile ai profili delle cattedrali gotiche. Ciò è certamente vero, soprattutto se ascoltiamo l’incipit dello Scherzo della maestosa Ottava Sinfonia, e credo che pochi altri interpreti abbiano saputo raggiungere l’estasiata dolcezza di questo attacco della Quinta, sinfonia enigmatica, definita da un serio studioso come Harry Halbreich una «sinfonia della fede, una cattedrale sonora ». Ciononostante, Sinopoli riesce a coniugare l’imponenza con la grazia, la maestosità con la cura del dettaglio, del particolare, nel senso che il turgore fonico, che troppo spesso offusca i contorni netti soprattutto della Quinta, capolavoro di contrappunto, viene inteso come culmine di un processo d’accumulazione del materiale, non come estetica del suono fine a se stessa.
Gustav Mahler
Devo confessare ancora una volta che la congenialità di Sinopoli al modo espressivo di Mahler m’è sempre parsa così evidente che con lui del compositore boemo ho parlato solo in un paio di occasioni, la prima nell’intervista del ’92, l’altra in quella già ricordata del programma Ascoltando il secolo, la cui seconda parte era appunto dedicata a Das Lied von der Erde. Gli chiesi, dunque, se aveva per caso intenzione, poiché allora (nel ’92) la sua integrale mahleriana era ancora in fieri, di registrare anche la versione della Decima sinfonia completata da Derick Cooke, come del resto fanno molti direttori importanti, eminenti interpreti del compositore boemo, da Simon Rattle a Riccardo Chailly. Come voi sapete, Sinopoli aveva studiato archeologia ed avrebbe dovuto laurearsi due giorni dopo la sua morte. Queste attività intellettuali, apparentemente lontanissime (come l’archeologia e la direzione d’orchestra, direi la musica) erano invece strettamente legate nell’agire intellettuale e musicale di Sinopoli, tant’è vero che, giustificando la sua scelta di non registrare né eseguire la ricostruzione della Decima sinfonia di Mahler effettuata da Derick Cokke, diceva che tale ricostruzione «nega il concetto di utopia insito negli ultimi lavori di Mahler. Significa riportare Mahler almeno cinquant’anni indietro. Un’utopia potrebbe essere eseguire un giorno quello che Mahler aveva scritto, integrando o meno. Essendo uno studente d’archeologia, mi interessano i torsi in quanto tali, non le restaurazioni competitive». Del resto, i numerosi concerti dal vivo e l’integrale sono lì a provare che tale congenialità Sinopoli l’aveva ottenuta mediante uno scavo profondissimo dell’opera sinfonica di Mahler, che il maestro italiano aveva portato avanti di pari passo con i Lieder per orchestra. Riflettendo sull’intenso rapporto che la musica di Mahler, sinfonica e liederistica, stabilisce con la natura, con l’elemento naturale non di rado evocato in modo quasi materico (pensiamo al cosiddetto natur laut, presente sin dalla Prima sin/onia sino alla Settima) Sinopoli aveva sempre ritenuto Mahler intellettuale in aperta contraddizione con lo spirito ebraico, soprattutto con la filosofia della natura di matrice ebraica; piuttosto, lo riteneva partecipe di quel filone filosofico ‘naturale’ che nella cultura tedesca va da Goethe a Novalis a Nietzsche, e dunque intendendolo come appartenente a pieno titolo alla cultura tedesca. Una cultura sostanzialmente laica, che nutriva le sue radici nel pensiero, appunto, goethiano e che Mahler sintetizza in maniera mirabile proprio nella monumentale Ottava sinfonia. Nella sua splendida interpretazione, Sinopoli riesce a sfuggire una certa pesantezza orchestrale, che pure è congenita a un simile lavoro, per dimostrare invece quanto questo pezzo non sia affine alla forma del romanzo – tanto per citare la celebre definizione di Adorno – quanto piuttosto il grezzo e consunto material e sinfonico sia stato come vivificato dal tocco dello spirito, appunto dal quel Veni, creator spiritus.
La musica contemporanea
Egli stesso compositore, attività che esercitò per un numero di anni limitato (ma che recentemente aveva intenzione di riprendere), Sinopoli fu sin dall’inizio della sua carriera interessato alla musica contemporanea. Costituiscono testimonianza decisiva non unicamente i dischi che egli ha dedicato a Bruno Maderna (suo mentore), a Sylvano Bussotti e a Giacomo Manzoni (registrando in prima mondiale uno dei capolavori del maestro milanese, Masse, col pianista Maurizio Pollini ), ma anche una lettera, pubblicata da Rossana Dalmonte in un volume dedicato appunto a Maderna, nella quale il direttore veneziano segnala – nella sua veste di direttore musicale dell’Orchestra Rai di Milano – a Francesco Siciliani i nomi di due, a suo avviso, giovani ma importanti compositori: Salvatore Sciarrino e, appunto, Giuseppe Sinopoli. Quando ne parlai, molti anni dopo, con Giuseppe, egli mi confessò che era la prima volta che veniva a conoscenza di quell’importante documento. Uno splendido esempio di Sinopoli, nella doppia vesta di direttore e compositore, è rappresentato dalla registrazione delle due Suite tratte dalla sua opera Lou Salome, andata in scena nel 1980 all’Opera di Monaco. Sarebbe troppo lungo aprire un capitolo sul Sinopoli compositore, sulla sua personalissima posizione estetica: dico soltanto, in conclusione, che Sinopoli aveva negli ultimi anni sostituito all’attività compositiva quella di archeologo, di studente di archeologia: all’introspettiva attività di compositore, Sinopoli aveva sostituito quella di indagatore di mondi lontani e antichissimi, anche se, nell’ultimo periodo della sua vita, aveva deciso di tornare a scrivere. Purtroppo, il destino non glielo ha concesso. •
Di Carmelo Di Gennaro.