IL MIO GRAAL NELLE CALLI DI VENEZIA

Qual è stata la genesi del libro? Quale idea c’era dietro, da spingerla a ritagliarsi il tempo per scrivere?
Il racconto era stato in qualche modo concepito nell’89, quando tornai alla Fenice per dirigere il Parsifal e mi capitò d’immergermi per due mesi in riflessione su quell’opera. Pensai molto, in quel periodo, alla frattura fra il testo wagneriano, grigio e cupo e moraleggiante, e quelli degli scrittori medioevali che avevano tratto il tema del Graal in modo certo più “luminoso”. E pensai all’apparizione del tempo dell’opera, alla musica cioè, che è per contrasto “luminosissima”. Una dicotomia che intuii pure in Venezia, la cui prima contraddizione sta nella stessa sua origine.

 

Allude alla morfologia della città? Al suo << galleggiare>> ?
Si, e infatti mi venne in mente quel frammento di Eraclito sui rapporti fra acqua e terra, vita e morte, che qui sono in miracoloso equilibrio. fui colpito, poi, da tutta una serie di forme e significati: gli ossessivi incorniciamenti bianchi, le pietre che cambiano colore, la doppia “esse” del canal grande… mi parve fatale che producessero quasi dei disagi mentali.

 

Disagi che possono portare persino un veneziano a perdersi?  L’episodio dello smarrimento è vero o è solo una metafora?
È stata un po’ una finzione letteraria. Ma l’esperienza del perdermi a Venezia, l’ho subita diverse volte, e da ragazzo l’ho anzi coltivata. Singolare è che mi sia accaduto di smarrirmi anche dopo aver scritto questo libro, e nei medesimi luoghi. È un tipo di prova che ti può far entrare in una doppia condizione psicologica, sub o sovra-liminale: o ti lasci andare, passivo, oppure acuisci la sensibilità e scopri cose che prima non vedevi.

 

Quali sono le scoperte della fuga nel labirinto?
Anzitutto, tornando alla forma urbis, la constatazione che forse Venezia non è stata “fondata” così com’è, quanto piuttosto “rinvenuta” , col suo groviglio naturale di simboli e significati.
E la considerazione per cui io, avendo in testa il Parsifal, sono stato misteriosamente “convocato” nella zona del Ghetto dove ho trovato il nome di Orgheluse, beh, una cosa del genere si sarebbe già bravi se si riuscisse a inventare in una città che non esiste, ma il fatto è che l’ho ritrovata esattamente così e in una città vera. Come ho ritrovato il tema dell’Incantesimo del Venerdì Santo e cento altre coincidenze. Mi sembra quindi sicuro che a Venezia si rispecchino le tracce di un modo di concepire una città come c’era ai tempi molto antichi, quando l’architettura era dissiminata di significati e simboli.

 

Non sarà che, in questo vagabondaggio intarsiato di richiami eruditi, ha piegato la realtà per vedervi confermata una sua idea? Commettendo cioè il “peccato d’orgoglio” del quale sentenziava Evola, da lei citatissimo?
Il punto è che ho sul serio rinvenuto queste cose, un filo che porta indietro, e non mi pongo la questione del perché sono nate. Quanto al peccato d’orgoglio, credo che la cultura si serva di due armi, per andare avanti: una è il furto, come mi pare disse Strawinskij, e l’altra è appunto l’orgoglio. Furto nel senso di far proprio ciò che si è letto, e si è letto specialmente da giovani, negli anni in cui si vede l’universo attraverso il cristallo magico della biblioteca infinita. Orgoglio nel senso tentar di cambiare il proprio mondo, spostandosi e mutando prospettiva, indirizzati magari da quanto si è trovato nella biblioteca.

 

Colpisce questa sua insolita formazione culturale. Verso dove la conduce? E quanto incide nel suo essere musicista?
Finora è stato come spostarsi a cercare da uno scaffale all’altro di quella biblioteca di cui parlavo. Ora, poiché la musica in se non è un problema di gnosi, di conoscenza, ma di espressività, un giorno ho capito che essa non poteva essere l’unica componente della mia vita: importantissima sì, ma non l’unica. Ed ecco così l’irrompere di altri problemi di conoscenza, come la medicina. L’esoterismo, l’archeologia. Problemi che ti mettono in rapporto con le cose e gli uomini che ti spingono a cercare, mentre con la musica semplicemente esprimi.

 

 

CORRIERE DELLA SERA 22 DICEMBRE 1991

Di Marzio Breda