TAVOLETTE E OGGETTI ISCRITTI IN CUNEIFORME

GIUSEPPE SINOPOLI E UN “ALTRO” COLLEZIONISMO: TAVOLETTE E OGGETTI ISCRITTI IN CUNEIFORME

di MARIA GIOVANNA BIGA

“Sapienza”  Università di Roma

1. IL COLLEZIONISMO DI  GIUSEPPE SINOPOLI

Studiare il fenomeno del collezionismo, documentato dalle epoche più antiche e in tutto il mondo, e le figure dei collezionisti, è uno studio storico appassionante che impone una conoscenza profonda dei vari periodi, per cercare di comprendere perché certi oggetti sono diventati importanti e ricercati.

Anche l’ Italia, e Roma in particolare, ha visto questo fenomeno svilupparsi nei secoli. Del resto il collezionismo di oggetti del mondo classico e soprattutto di statue antiche è un fenomeno già documentato dall’ epoca romana (e alcuni dei grandi imperatori romani furono collezionisti accaniti) e continua fino al giorno d’oggi. Anche il fascino dell’ Oriente, sia del Vicino, del Medio che dell’Estremo Oriente, ha guidato certi collezionisti nel ‘700 e nell’800. L’ Egitto poi ha costituito un fenomeno collezionistico a sé, diventando Egittomania già dal ‘ 700, ben prima della decifrazione dei geroglifici. Del resto gli imperatori romani importarono gli obelischi a Roma dall’Egitto e i papi dal ‘500 li posero ad adornare le più belle piazze di Roma. Per limitarci all’Italia, il fascino dell’Oriente già dall’epoca di Pietro della Valle nel ‘600 è stato evidente, e parecchi sono stati i collezionisti italiani e romani che hanno raccolto nelle loro collezioni pezzi orientali e egiziani.

Un esempio particolarmente notevole è quello del Barone Barracco, Senatore del Re­ gno d’Italia, appassionato collezionista sia di antichità classiche sia di pezzi egizi ed orien­ tali, ora esposti in quel gioiello di museo romano che è il Museo Barracco [La tesi di  laurea  di  G. Sinopoli  è stata  preparata  sotto la guida  di  P.  Matthiae (“Sapienza” Università di Roma), R. Dolce (Università di Roma Tre) e L. Winter (Harvard University). La laurea gli fu solennemente  attribuita (dopo la sua morte) con una cerimonia nell’Aula Magna della Sapienza  l’ 11  novembre del 2002].

Tra i collezionisti del nostro periodo una figura davvero particolare e singolare è il Maestro Sinopoli che ha costituito una eccezionale collezione classica greca, romana, della Magna Grecia, etrusca, una rarissima collezione di pezzi egizi, ma anche di pezzi orientali del Vicino, Medio e dell’Estremo Oriente. Tutta questa straordinaria collezione di pezzi antichi consente di studiare la figura di un uomo eccezionale, con interessi molteplici e variegati, sempre approfonditissimi, ma soprattutto con un grande interesse a tutto ciò che gli consentisse di capire o di avvicinarsi al rapporto degli antichi con il divino e il sacro, indipendentemente dalla bellezza dell’ oggetto.

Non era solo la ricerca di oggetti belli esteticamente quello che ha spinto il Maestro Sinopoli a procurarsi i vasi antichi o le statue antiche, ma è stata soprattutto la ricerca dei miti raffigurati sui vasi, la ricerca di oggetti che stavano in tombe, dove dovevano garantire al defunto una vita nell’ aldilà, o in templi.

2. LA COLLEZIONE VICINO-ORIENTALE

La collezione di pezzi dal Vicino Oriente del Maestro Sinopoli comprende anche più di una ventina di oggetti recanti un’iscrizione in caratteri cuneiformi. Essi documentano fasi diverse della storia del Vicino Oriente antico, che coprono tutta la lunga storia della regione nel periodo preclassico e comprendono oggetti dai periodi protodinastico III a e b (2600-2350 a.e. circa), accadico (2350-2200 a.C. circa), di Gudea di Lagas e della III Dina­ stia di Ur (2100-2004 a.C. circa), al successivo periodo paleobabilonese (2000-1600 a.C.), fino al neoassiro (IX-VII sec. a.C.). Completano la collezione di oggetti iscritti un mattone in lingua elamica dalla ziqqurat di Choga Zanbil in Iran (XIII sec. a.C. circa) e un paio di sigilli con iscrizione.

I supporti sui quali queste iscrizioni sono presenti erano di estrema importanza per il Maestro.

Tra gli oggetti vi sono infatti poche tavolette e un ben maggior numero di oggetti, quali una statuetta di orante con iscrizione cuneiforme in lingua sumerica sulla spalla (periodo protodinastico III, 2500-2350 a.C. circa), una placca votiva di finissimo alabastro recante sul bordo un ‘ iscrizionedi Manistusu, figlio e successore del grande Sargon di Accad (2300 a.C. circa), vari chiodi di fondazione, come si vedrà, e un barilotto di argilla con iscrizione del re Sin-iddinam di Larsa.

È subito evidente la scelta operata dal Maestro. Il suo interesse precipuo non era di cercare oggetti in materiale prezioso, né tavolette riguardanti l’economia di qualche città vicino-orientale (pur importanti per scrivere la storia economica), né testi riguardanti imprese belliche dei sovrani (importanti per scrivere la storia politica), ma oggetti con un fortissimo  valore sacrale,  oggetti che erano stati nei  templi  antichi.

E alcuni di essi nei templi erano stati nascosti, sepolti nelle fondazioni (come i chiodi di fondazione) dai vari sovrani, a documentare per i posteri il nome e l’opera di quel sovra­ no e garantirne il ricordo a lungo.

L’immortalità non è degli uomini, come spiega Ut-napistim, l’unico uomo scampato al diluvio, all’eroe Gilgames, ma gli uomini con le loro opere eccellenti possono garantirsi un ricordo da parte dei posteri.

[E questo è proprio ciò che è scritto anche sulla tomba del Maestro nel Cimitero monumentale del Verano e quello che egli aveva tradotto da Sofocle e fatto scrivere sul programma di sala dell’Aida di G. Verdi (vedi Sinopoli 2005: 9) che egli dirigeva a Berlino il 20 aprile 2001 quando il suo cuore cessò improvvisamente di battere:

«…  tu e questo  paese…  abbiate buona sorte, e nella   prosperità

ricordatevi di me, quando sarò morto, per sempre felici»

(Sofocle, Edipo Colono). ]

Quindi i pezzi della collezione Sinopoli ci consentono di studiare e comprendere alcuni aspetti della personalità del Maestro e il suo “altro” collezionismo; ci consentono di studiare non tanto e non solo pezzi di grande valore storico per gli studiosi dell’Oriente  antico, ma la figura del collezionista  che questi  pezzi ha raccolto, e come essa si inserisca, o meglio si distingua, nel collezionismo dell’epoca in cui è vissuto [Non si vuole qui fare l’edizione critica, dal punto di vista filologico , dei testi; essa sarà fornita quando si pubblicherà il catalogo della collezione, ma si vogliono solamente sottolineare gli  aspetti  dei testi che hanno spinto il Maestro all’ acquisizione del pezzo.]

Del resto la sua ricerca del sacro in tutte le culture lo spinse all’acquisizione di pezzi anche dal Medio e dall’Estremo Oriente e dall’Egitto. La sua ricerca si dirigeva ai templi e agli oggetti che vi erano stati collocati o nascosti nelle fondazioni e che erano là rimasti per millenni. Il rapporto dell’uomo di tutte le culture con il divino era quello che lo interessava profondamente e che egli investigava da tanti anni. Questo è evidente, ad esempio, in ciò che egli scrisse nella Tesi di Laurea [La tesi di  laurea  di  G. Sinopoli  è stata  preparata  sotto la guida  di  P.  Matthiae (“Sapienza”Università di Roma), R. Dolce (Università di Roma Tre) e 1. Winter (Harvard University). La laurea gli fu solennemente  attribuita (dopo la sua morte) con una cerimonia nell’Aula Magna della Sapienza  l’ 11  novembre del 2002.], pubblicata postuma a cura soprattutto dell’amico Paolo Emilio Pecorella, anch’egli poi tragicamente scomparso nell’ agosto 2005 in missione a Teli Barri in Siria. Sinopoli, studiando le tipologie dei templi sumerici, scrive: «Nell’ epoca protosumerica e protodinastica il dio è considerato un’entità assoluta, lontana, difficilmente raggiungibile. Questa concezione si concretizza in quella entrata a Knickachs, ‘a gomito’ che caratterizza l’accesso ai templi protosumerici. La divinità nell’epoca di Ur III non è più così lontana. Il dio, che abita invisibile nell’Alto Tempio della ziggurat, è là adorato come spirito, ma scende, attraverso la ‘Tortempel’, nel ‘Tieftempel’  per apparire, tramite  il suo simulacro  riprodotto  a grandezza  umana,  ai   suoi fedeli…Tale pensiero teologico, che ha risvolti ideologici anche in campo politico, si riflette con chiarezza nell’architettura templare» (Sinopoli 2005: 46). È evidente, sia pure da questi brevi passi, l’interesse per il rapporto dell’uomo antico con il sacro, il divino in ogni forma esso sia stato esplicitato.

 3. AL CUN I PEZZI DELLA COLLEZIONE  IN SCRITTURA CUNEIFORME

3.1 Chiodo di fondazione  di epoca accadica  da Adab ( 2250 a.C. circa)

Un pezzo di grande valore storico per gli studiosi di storia del Vicino Oriente antico è    il chiodo di fondazione proveniente dalla città di Adab e ben databile all’epoca  accadica (Fig.l a e b).

Questo grande chiodo di fondazione (è lungo 40,6 cm) è iscritto nella parte superiore con un testo in sumerico che occupa tre colonne, con dodici linee di scrittura per colonna. L’oggetto è perfettamente conservato e la scrittura cuneiforme è molto elegante e scritta dalla mano di uno scriba esperto. L’ iscrizione ricorda la fondazione e la dedica di un tempio alla dea Damgalnunna  da parte di Ur- dLAGABxSIG7 +ME quando Lugal-amu divenne governatore di Adab.

L’oggetto è già stato edito dalla scrivente, e recentemente è stato pubblicato da Steinkeller il chiodo, con iscrizione simile, presente nella Scho yen Collection di Oslo. Si rimanda quindi alle due pubblicazioni per il commento grammaticale e la discussione dei punti tuttora ambigui dell’ iscrizione che presenta notevoli difficoltà. La lettura, proposta recentemente da P. Steinkeller, del nome del dedicante, Ur-Imma, viene riportata qui di seguito.

L’ iscrizione recita:

«Quando Lugal-amu, amministratore-sanga del tempio del dio Iskur, assunse (anche) la carica di governatore nella città di Adab, (a quel tempo) Ur-Imma, il forte, prole della dea Damgalnunna, il forte servitore di Imma, il forte…, di Lugal-nì-barag,-du 10   il …,    quando Damgalnunna ebbe scelto nel suo santo cuore Ur-Imma e gli disse: “Costruisci il mio tempio per me” e quando Ur-Imma esplicitò le sue intenzioni alla dea Damgalnunna e andò verso di lei, in quel giorno Ur-Imma elevò le fondazioni (del tempio) fino a sei cubiti e mezzo (dal suolo). Ur-Imma attribuì al tempio un sacerdote-nu-ès, un coppiere, e servi e serve. La dea Damgalnunna in cambio di questo decretò un buon destino per Ur-Imma. (Lunga) vita per sua madre, per sua moglie , i suoi figli, i suoi fratelli ella richiese agli dèi per lui. Damgalnunna prega (i grandi dèi)  in favore di Ur-Imma».

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Per gli studiosi di sumerico l’iscrizione presenta molti aspetti di eccezionale interesse, con peculiarità del sumerico e incertezze nella lettura di alcuni logogrammi, confrontabili con analoghi logogrammi di Ebla in Siria.

Il nome stesso del dedicante è un’invocazione ad una divinità il cui nome è di difficile lettura. È scritto con tre logogrammi per i quali Steinkeller propone ora la lettura Imma mentre prima si era suggerito di leggere Ishara, importante divinità femminile ben nota dai testi di Ebla del terzo millennio a.C.

Ma l’interesse enorme dal punto di vista storico è che l’iscrizione fornisce il nome di un nuovo governatore dello stato di Adab, stato che era sottoposto al dominio della dinastia di Accad, iniziata dal grande re Sargon intorno al 2350 a.C. circa.

È ben noto che i sovrani della dinastia di Accad scelsero, come modo di gestione del potere, quello di lasciare sui troni degli stati da loro conquistati le dinastie locali che pote­ vano meglio mantenere i contatti con la popolazione.

La storia di Adab sotto la dinastia di Accad si sta ora precisando e questo chiodo fornisce un importante tassello con il nome di un nuovo sovrano e ci fa conoscere che egli era prima amministratore di un tempio, dimostrandoci quindi come la massima carica sacerdotale poteva portare poi alla massima carica politica.

Adab, come emerge dai nuovi dati e dai testi di Ebla, era un centro molto importante nella Mesopotamia presargonica, capitale di uno stato potente e fu poi sotto l’impero di Accad la più grossa città dopo Kis e Accad.

Considerando che si sa che Lugal-amu è stato amministratore templare del tempio di Iskur a Karkar (moderna Tel1 Jidr) nella regione di Adab, sotto un governatore locale di nome Darru-ilì, un contemporaneo del re Naram-Sin di Accad, e che Lugal-amu è succeduto a Darru-ilì come governatore di Adab stessa, il chiodo si può ben datare agli ultimi anni del regno di Naram-Sin o all’inizio del regno di suo figlio Sar-kali-sarri, cioè tra il 2250 e il 2200 a.C. circa.

L’ identità di Ur-Imma resta sconosciuta; doveva essere un importante personaggio se si può definire progenie della dea Damgalnunna, dea poliade di Adab e consorte del grande dio sumerico Enki, e erigerle un tempio che sicuramente doveva essere ad Adab stessa.

Quello che interessava il Maestro era, come al solito, il fatto che questo grande oggetto, magnificamente conservato, fosse rimasto nascosto per millenni nelle fondazioni di un tempio, con tutto il suo valore sacrale.

Inoltre l’iscrizione presenta parecchie particolarità anche nelle richieste che il dedicante fa alla divinità.

Normalmente il dedicante chiede il potere per sé e una discendenza che gli garantisca continuità dinastica e i culti funerari necessari.

Ma qui il dedicante chiede la vita e non solo per sé ma per sua madre, sua moglie e i suoi figli e i suoi fratelli, in una formula pochissimo attestata e davvero commovente e toccante.

3.2 Chiodo di fondazione di Gudea di Lagas (2100 C. circa)

Un altro chiodo di fondazione (Fig. 2) reca un ‘ iscrizione del sovrano Gudea che guidò lo stato di Lagas nel sud sumerico  della Mesopotamia  intorno al 2100 a.C.  circa [Per l’edizione di coni di Gudea con iscrizione simile a quella del chiodo Sinopoli si veda Steible 1991: 313-318; Edzard 1997: 138-139.]

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Il chiodo proviene dalla capitale Girsu, moderna Tello, dello stato sumerico di Lagas e ricorda la (ri)costruzione da parte del sovrano Gudea del tempio del dio poliade Ningirsu. Lo scavo del sito di Tello da parte dei francesi ricordava al Maestro una pionieristica impresa nel sud sumerico e la storia di De Sarzec (il primo a scavare, tra mille difficoltà, nel sud della Mesopotamia e a trovare i primi documenti che hanno consentito la comprensione della lingua sumerica), lo aveva particolarmente interessato. E tutti i monumenti da Lagas, tra cui la Stele degli Avvoltoi di epoca protodinastica e le statue dello stesso Gudea, presen­ tano il sovrano come il fedele servitore del dio della città, Ningirsu, del quale è il rappresen­ tante sulla  terra e al cui volere obbedisce,  combattendo  i nemici, quando  necessario ,  o dedicandosi  ad attività di edilizia templare.

Il tempio del dio Ningirsu era infatti il principale tempio cittadino di Girsu.

Come ci racconta Gudea stesso in molte iscrizioni e soprattutto sui due grandi cilindri conservati al Louvre, il tempio era stato molto danneggiato da una piena disastrosa del Tigri e il dio Ningirsu, apparso in sogno a Gudea, gli aveva chiesto di ricostruire il tempio. L’impresa era costosa e richiedeva materiali che dovevano venire da lontano, ma Gudea, forte dell’aiuto dello stesso dio Ningirsu, aveva intrapreso la ricostruzione facendo venire i materiali più pregiati anche da paesi lontani.

Questa è l’impresa che Gudea celebrò in innumerevoli iscrizioni e in molti chiodi di fondazione (come questo della collezione Sinopoli), che fece mettere nei punti chiave del tempio dove verosimilmente sovrani successivi avrebbero dovuto intervenire in caso di restauro. E in effetti questi chiodi di fondazione, per lo più d’ argilla, ma anche di bronzo, presenti al Louvre e in molte collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, hanno reso Gudea famoso e noto ancora oggi.

Il tempio, Eninnu, che significa probabilmente la “casa dei 50 me”, è chiamato con l’appellativo “Imdugud splendente” e il ricordo dei riti compiuti da Gudea per la sua costru­ zione evoca alcune delle principali peculiarità della religione sumerica.

Agli studiosi di sumerico che hanno grande consuetudine con i testi di Gudea usati come esercizio di sumerico classico, sfugge quello che il Maestro ci faceva invece notare. Questo chiodo di umile argilla, che era stato nascosto nelle viscere di un tempio, fornisce un repertorio di fondamenti della religione sumerica.

Ningirsu è presentato come l’ eroe del dio Enlil, uno degli dèi principali del pantheon sumerico-semitico del III millennio a.C. e quello che dal suo tempio di Nippur è il garante della regalità sulla Mesopotamia ; i “me” sono le essenze che rappresentano e governano tutta la realtà e sono attribuiti solo agli dèi; il sumerico Imdugud (accadico Anzu) è il mitico, gigantesco e mostruoso uccello con testa di leone che può scatenare tempeste e che viene sconfitto da Ningirsu e, per questo, rappresentato in connessione con il dio.

3.3 Tavoletta di fondazione di Sin kasid , re di Uruk (1865-1833 C.)

 Il testo della tavoletta,  scritta in sumerico, recita:

«Sin-kasid, eroe forte, re di Uruk, re (della stirpe) degli Amnanum, il palazzo della sua regalità ha costruito».

Tale iscrizione è conosciuta da parecchi esemplari scritti su mattoni e su tavolette che provengono  tutti dal palazzo del re Sin-kasid  ad Uruk.

La tavoletta cita quindi un re di Uruk e la città di Uruk, la prima città della storia mesopotamica, la città del  mitico Gilgames,  il re che ha invano cercato  l’immortalità.

Questo oggetto, anch’esso proveniente dalle fondazioni, e dal palazzo di un re di Uruk, era particolarmente interessante e significativo per il Maestro, proprio per quello che gli evocava: la grande città di Uruk scavata dai tedeschi, la città che ha dato i più antichi testi sumerici, la città della ziqqurat del dio del cielo An e della grande dea Inanna che di Uruk fu la signora, e la città del re Gilgames.

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3.4 Barilotto del re Sin-iddinam  di  Larsa (1849-1843  C. circa)

 Un altro pezzo notevolissimo della collezione è un barilotto d’argilla che conserva una lunga e magnifica iscrizione in lingua sumerica del re Sin-iddinam(1849 -1843) del regno di Larsa. In essa il sovrano celebra il rifacimento degli argini del fiume Tigri, fiume che, come si è già visto, portava abbondanza nel paese ma che, non curato, poteva essere sogget­ to a piene disastrose e causare gravi danni al paese. L’ evento è commemorato anche  dal nome  del secondo  anno di regno  di Sin-iddinam.

Ma più che a quest’ evento, il Maestro era interessato, in primo luogo, al fatto che l’iscrizione era in  lingua sumerica.

Quando il barilotto fu iscritto, la lingua sume rica da almeno due secoli, o forse da più tempo ancora, non era più la lingua parlata nella Mesopotamia, dove ormai l’ elemento semitico era prevalente e dove, dall’inizio del secondo millennio a.C., l’amorreizzazione si era estesa a gran parte del Vicino Oriente.

Ma il sumerico era la lingua del culto, del rito e sicuramente conferiva un maggior valore sacrale all’oggetto iscritto e alle lunghe formule introduttive dell’ iscrizione, nelle quali il sovrano esibisce una titolatura che lo dimostra sovrano devotissimo del dio Sin, il grande dio lunare della città di Ur e dei principali dèi del pantheon, sotto la protezione dei quali mette il suo regno.

Il testo  del barilotto inizia:

«Sin-iddinam, l’uomo forte, l’ approvvi gionatore della città di Ur, il re di Larsa, il re delle quattro regioni del mondo, colui che l’ Ebabbar, il tempio di Utu ha costruito, colui che  i riti dei templi degli dèi ha restaurato, sono io . Allorchè gli dèi An, Enlil, Nanna ed Utu un buon periodo di regno (fondato sulla) giustizia, la cui durata è molto lunga , a me hanno dato in dono…… ad An e ad Enlil ho rivolto le mie preghiere. Le mie preghiere sincere essi hanno ascoltato…».

E gli dèi gli hanno chiesto di scavare il letto del Tigri e di costruirne argini nuovi:

«Allora io per volere esplicito degli dèi An ed ! nanna, con il consenso di Enlil e Ninlil, grazie ad Iskur, il mio dio (personale) (e) all’eccelsa forza di Nanna e Utu, il fiume Tigri, il fiume dell’abbondanza di Utu, con tutto il mio ardore grandiosamente scavai… ».

Il re si presenta guidato dai principali dèi del pantheon, il dio del cielo An e la grande dea! nanna, il dio Enlil (che ha deciso le sorti dell’ um anità inviando il diluvio e che attribu­ isce la regalità sulla terra), il dio Iskur, ispettore dei canali, la grande divinità lunare Nanna e la divinità solare Utu.

Solo grazie ad essi il re riesce nella sua impresa colossale di regolare il fiume Tigri. È evidente il grande valore sacrale del pezzo.

Ma quello che interessava il Maestro era anche un’altra cosa: la forma del barilotto gli ricordava e richiamava , a lui che della civiltà egizia si era a lungo occupato e che continuava a studiare, la forma dell’uovo di struzzo, così importante nella cosmologia egizia e sim­bolo di rigenerazione  nella religione egiziana e in quella  fenicio-funica.

In effetti l’argilla finissima e chiara di questo barilotto di argilla, e la sua forma, la scrittura perfetta ed elegante del testo, hanno una somiglianza stringente con le uova di struzzo che sono state in effetti  ritrovate in tombe egiziane.

E di questo ci chiamava a discutere, se cioè anche i mesopotamici avessero voluto interrare  un oggetto di argilla che richiamasse  la forma dell’uovo  di   struzzo.

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In effetti questo confronto non è mai stato operato dagli studiosi che si sono occupati della tipologia dell’oggetto sul quale le diverse iscrizioni in cuneiforme sono state apposte (chiodi di fondazione, tavolette, cilindri, placchette ecc.), dei diversi materiali (argilla, bronzo, pietra, oro, argento ecc.) e che si sono chiesti il perché della scelta di un oggetto piuttosto  che di un altro.

Purtroppo però il perché delle diverse scelte non è troppo evidente, come ha ben sotto­ lineato J. Cooper (Cooper 1985: 97-114; Liverani 2010: 27-62; Biga 2011:  35-60; Selz 2011: 283-295) La proposta del Maestro Sinopoli resta un’ interes sante ipotesi da tenere a mente e da  verificare.

3.5 Chiodo di fondazione di Isme-Dagan di Isin (1953-/935 C. circa)

 Si vuole presentare qui ancora un altro chiodo di fondazione acquisito dal Maestro: il chiodo di fondazione di lsme-Dagan di Isin, sovrano amorreo della dinastia di Isin che regnò dal 1953 al 1935 a.C.   circa.

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L’iscrizione sul chiodo recita:

«Il divino Isme-Dagan, l’uomo forte, il re di Isin, il re delle quattro regioni del mondo, quando egli Nippur, la città prediletta di Enlil dal tributo sollevò (e) le sue truppe dal servizio militare esentò, le grandi mura di Isin costruì. Di tali mura: ‘Isme-Dagan grazie ad Enlil è dotato di forza’ è il loro nome».

Il nome del sovrano è preceduto dal determinativo divino, segno di una sua divinizzazione in vita, una pratica iniziata dal grande re di Accad Naram-Sin e praticata poi fino alla fine del periodo paleobabilonese (circa 1600 a.C.). Isme-Dagan vuole però sotto­ lineare il fatto che egli ha posto la sua regalità sotto la protezione della divinità che di quella regalità era il dispensatore, cioè il potente dio Enlil, che aveva nella città di Nippur il suo grande tempio.

3.6 Sigillo della III Dinastia di Ur (2/00-2000 C.)

Infine si vuole qui presentare un sigillo (Figg.  6-7) che molto interessava il  Maestro per le immagini  raffigurate su di esso e per le quali  si rimanda alla trattazione di R. Dolce.

Il sigillo, che archeologicamente è stato datato come tipologia e raffigurazione alla III Dinastia di Ur da R. Dolce, reca un’iscrizione in tre linee del funzionario che possedeva il sigillo e lo usava ruotandolo sulle tavolette per garantirne il contenuto.

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Si tratta di Sagaduga, un funzionario ben attestato nella città di Lagas sotto la III Dinastia di Ur; il sigillo proviene quindi da questa città.

La lettura del testo sul sigillo conferma perciò appieno l’attribuzione alla III Dinastia di Ur da parte di Rita Dolce, basata sullo studio dell’iconografia e dello stile del sigillo.

La legenda del sigillo:

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4. CONCLUSIONI

Gli oggetti iscritti vicino-orientali qui presentati documentano bene cosa si intenda con “altro” collezionismo del Maestro Giuseppe Sinopoli. Egli era del resto laureato in Medicina con tesi in psichiatria, compositore, direttore d’orchestra, studioso di archeolo­ gia, collezionista, attività che erano, come ha dichiarato egli stesso: « . . . soltanto modi di­ versi di fare lo stesso mestiere: indagare il profondo. L’indagine sul mondo antico è un’in­ dagine che in fondo ha sostituito l’attività di compositore. Si tratta di un’indagine su un mondo i cui messaggi, i cui approcci con l’esistenza contengono stratificazioni oggi pur­ troppo irriconosciute, irriconoscibili, ma che danno della vita una dimensione per me insostituibile».

[Dal libretto di sala dell’Opera Lou Salomé (Musiche di Giuseppe Sinopoli) rappresentata al Teatro La Fenice di Venezia il 21 gennaio 2012 (Cappelletto 2012: 15). S. Cappelletto ribadisce più volte nella sua prefazione che per G. Sinopoli archeologia, psicanalisi, composizione erano tre modi diversi di andare nel profondo.]

E tutto questo sentire del maestro Sinopoli è emerso chiaramente durante la prima rappresentazione in Italia al Teatro La Fenice di Venezia, il 21 gennaio 2012, dell’opera Lou Salomé, la cui musica era stata composta da Sinopoli alla fine degli anni ‘ 70 (con prima rappresentazione a Monaco di Baviera nel 1981).

La figura di Louise von Salomé, donna di grande finezza letteraria, conoscitrice della psicanalisi, allieva di Freud, sposata con l’orientalista Andreas, con relazioni con Nietzsche, Rée e Rilke, aveva attratto molto il giovane Sinopoli. Per questo aveva composto la musica, su un libretto di K.D. Grave, di un’opera nella quale Lou Salomé viene rappresentata alla fine della sua vita mentre medita sul senso della sua esistenza e ricorda.

Come Lou Salomé, Sinopoli ha detto sì alla vita e alla morte, ma cercava la trascendenza. Come ha ben spiegato la moglie di Sinopoli, Silvia Cappellini, nel dibattito svoltosi a Vene­zia al Teatro La Fenice il 22 gennaio 2012, il giorno dopo la prima rappresentazione:

«Egli, con quest’opera, prende congedo da Nietzsche, da Freud e da tutti i filosofi che pure lo avevano tanto affascinato per ricercare nelle civiltà antiche quello che nei grandi filosofi  non  aveva trovato».